IL RITORNO DEL SALVATORE

Pubblicato nel 2018, dalla Montegrappa Edizioni, il libro è un romanzo breve, ma pur sempre un romanzo. Accanto al desiderio di metter per iscritto come sarebbe stato un eventuale incontro personale “fisico” con Gesù, in una delle città che più mi affascina, che ho amato fin da bambina, Gaeta, vi è un continuo interrogarsi di come sarà l’incontro con il Signore: ecco che nel mio cuore ho sempre pensato ad un intermezzo, una sorta di seconda venuta in cui egli si fa presente in maniera particolare nella vita di ogni giorno, pronto ad aiutarci per una conversione che per ciascuno di noi ha strade impreviste ed inaspettate, ma che portano tutte al suo Amore. Dedico questo libro, che ho deciso di mettere online dopo la morte dell’editore, con cui ho collaborato per anni, Stefano Stufera Mecarelli, fondatore della Montegrappa edizioni, che ci ha lasciati su questa dimensione il 13 luglio del 2020, un uomo che pur nella diversità di fede, ha saputo accogliere questo mio amore per Gesù, aiutandomi a trasformarlo in un libro, nella certezza che possa essere con Colui che ho cercato di testimoniare nella mia piccolezza. Buona e Santa Lettura.

Ci sarà davvero la fine del mondo? Che cosa rappresenterà questo evento per l’umanità? Scene apocalittiche, distruzioni di massa, stermini compiuti da una natura che si ribella, oppure sarà qualcosa di più profondo, sottile, che riguarderà un cambiamento di coscienza interiore, un cammino in cui l’uomo si scoprirà creatura capace di riceere e dare Amore? E’ il cammino che farà Velia, una donna la cui vita è stata sconvolta da una serie di eventi che l’hanno portata a cambiare completamente la propria esistenza. Nel cercare di dare un senso alla propria vita, incontrerà l’Unica persona che saprà dare una risposta alle sue domande, in una girandola di avvenimenti ed emozioni, che coinvolgeranno tutte le persone che ruotano intorno a lei.

PRIMO CAPITOLO

1 Un raggio di luce

Aveva sempre pensato che qualunque evento della propria vita, in una notte di luna piena, avesse un sapore speciale, come se quell’alone riuscisse ad ammantare di luce ogni creatura, ogni azione ed ogni persona che si trovasse sul pianeta. Ma la morte, in una notte di luna piena, non era speciale. Affatto. O almeno così credeva. Densa, poi sempre più gelida, la paura aveva iniziato a penetrare nelle ossa, nei muscoli, immobilizzando perfino il respiro. Nel cuore, c’era già da tempo, ma era diventata una sorta di anestetico che a poco a poco le aveva attutito la sofferenza, dandole ogni giorno la forza di prepararsi a quell’evento ormai inevitabile.

 Un controsenso…forse. Può la paura schiacciarti fino a non aver paura? Oppure quella forza immane che la sovrastava era una sorta di pallido coraggio che si insinuava nel suo gelo, impedendole di impazzire?

Più volte, mentre Sandro dormiva, rimaneva seduta sul divano del salotto con l’ennesimo caffè in mano, cercando di fissare quella scena che da tempo si dipanava davanti ai suoi occhi. E mentre cercava di immaginare ogni attimo di quel trapasso, si rese conto dell’ambiguità di quei sentimenti. Quel rito quotidiano, quella scena quasi petulante, erano forse una speranza di impadronirsene, per poterlo controllare, per non farsi cogliere di sorpresa, per avere l’illusione di dirigere ogni istante di quella morte? Possibile che il vedere la liberazione di suo marito fosse un tormento di cui non potesse fare a meno, perchè assaporava già il sollievo di non vedere più l’unico uomo che avesse mai amato, macerarsi, quasi liquefarsi, tra quelle lenzuola?

Il senso di colpa la attanagliava, ma cercava di scacciarlo. La paura, il dolore, se ne stavano lì, nascosti, in un angolo remoto di una non ben definita parte del corpo, pronti ad esplodere da un momento all’altro con inaudita violenza. Di questo ne era certa. La sera stessa era venuto Padre Romolo, il parroco del suo quartiere, per dare a Sandro l’estrema unzione.

– Io ti assolvo dai tuoi peccati… - aveva udito Velia nell’altra stanza, in lacrime.

Il sacerdote aveva iniziato a far visita a suo marito ogni settimana. Aveva avuto un incontro con lui, tempo prima, quando erano cominciati i sintomi della malattia che le aveva portato via suo marito. Frettoloso, dai modi bruschi e sbrigativi, aveva quell’aria indaffarate che tanti parroci ormai hanno, presi tra le mille attività della vita parrocchiale, che ben poco tempo lasciavano a momenti di silenzio, riflessioni e colloqui con chi aveva bisogno di conforto e sostegno.

Velia si era sentita accolta con ansia, quasi con fastidio. Così doveva essere sicuramente l’approccio di quell’uomo nei confronti di coloro che lo venivano a cercare: di fronte ad ogni volto si chiedeva sicuramente cosa volessero da lui, quale problema dovesse risolvere, quale lamentela accogliere.

Velia lo percepì ma non si scompose al suo brusco “mi dica”. Non frequentava la chiesa, ma lei e Sandro amavano andare a messa a Natale e a Pasqua e due volte l’anno erano ben poche per rimanere impressi nei ricordi di un parroco.

Non sapeva in realtà perché fosse andata da lui. Cercava risposte, forse soluzioni.

Voleva capire perché le doveva essere portato via l’uomo di cui si era innamorata dieci anni prima, con cui si era sentita da subito parte integrante di un unico essere. Conoscere Sandro, guardarlo negli occhi, le aveva dato la forte sensazione di aver trovato la parte mancante di sé, quell’incastro perfetto che le aveva fatto capire quanto il vero amore fosse raro e trascende le emozioni effimere di cuori che si promettono amore eterno, ma affonda invece le radici, passata l’euforia iniziale, in un’intesa così profonda e sublime, da rendere inutili versi, canti e strofe di ciò che non si poteva imitare, ma che poteva solo essere vissuto.

E tutto questo cercava di spiegarlo a quel sacerdote, ponendo le basi per una vuota protesta.

“Vede Padre, io e lui siamo una cosa sola. Non può morire. Perché, Padre? I medici gli hanno dato al massimo tre mesi, ma io non voglio perderlo. Lei è un uomo di fede, mi aiuti!”.

Il sacerdote, che nel frattempo si era addolcito, la guardò con profonda compassione.

– Figlia mia, la fede non serve a capire, mi creda. Serve ad accettare proprio ciò che non possiamo capire. Suo marito ha finito il suo percorso terreno. E non le starò a dire di aspettarsi un miracolo, perché non voglio illuderla. Ho la netta sensazione che lei debba vivere il resto della sua vita in maniera diversa, deve imparare altre lezioni dalla sua esistenza, deve cambiare qualcosa, ma non so dire cosa. E suo marito sarà sempre con lei. Glielo assicuro. Sono poche le persone che, come lei, dicono di sentirsi una cosa sola con il proprio coniuge. Ed è questo il senso del matrimonio cristiano. Mi creda, pochi matrimoni sono celebrati con amore vero. Deve profondamente accettare che suo marito la lascerà su questa dimensione. Siamo anime, con un corpo e questo corpo, prima o poi, va lasciato. Questa è la nostra fede. Ma lo stesso corpo, alla fine dei tempi, si riunirà all’anima e vivremo, trasfigurati, per sempre, nella luce di Dio. Beh, non proprio tutti…- aggiunse con amarezza.

Continuò quel giorno a parlare della speranza cristiana, della virtù della rassegnazione, della comunione che esiste tra i due mondi, del continuo amore che viene riversato su noi da chi non è più su questa terra, amore che dovrebbe dare la forza per risollevarsi dal dolore. Non era quello che Velia avrebbe voluto sentirsi dire e se ne andò affranta. Il dolore le aveva impedito di apprezzare le parole del sacerdote le quali le avevano aperto la strada su una prospettiva di Amore Eterno che lei, al momento, non era in grado di cogliere. Aveva avuto un’amica  che, ammalatasi di cancro, aveva tentato un approccio diverso da quello che la medicina ufficiale proponeva: presa dalla disperazione, si era  impelagata in una serie di corsi utili a “canalizzare l’energia divina”, che a suo dire, tramite una serie di tecniche, poteva guarirla, ma Velia era molto scettica al riguardo. La sua amica,  dopo aver rifiutato tutte le cure mediche, aveva iniziato tre livelli di apprendimento di tali tecniche, o “iniziazioni”, come le chiamava lei, spendendo molti soldi ed affidandosi completamente al suo insegnante, una figura ambigua, una via di mezzo tra il guaritore ed il guru,   il quale le aveva anche dato rigide regole alimentari, ma la donna si era ritrovata con molti soldi in meno e numerosi problemi in più  e dopo un iniziale miglioramento era spirata, devastata dalle metastasi, tra le braccia del marito. Il maestro, ovviamente, era scomparso dalla sua vita,  dopo  aver incolpato la donna di non aver saputo armonizzare l’energia divina in lei. Velia e Sandro erano andati al suo funerale e mentre guardava il marito della sua amica affranto ed in preda ai sensi di colpa, si era chiesta come avrebbe reagito lei di fronte alla perdita di Sandro. Ora lo stava scoprendo.

Sapeva che quella sarebbe stata l’ultima sera che Sandro avrebbe trascorso sulla terra in quella casa, con sua moglie. Ed ora, accanto al suo letto, tenendogli la mano, guardava il volto esangue, le guance scavate dal male, gli occhi affossati, i capelli ormai radi e quel piccolo ma pulsante raggio di luna che era entrato dalla finestra della camera da letto.

Velia sapeva che era giunto il momento: prese la mano di Sandro tra le sue e si sforzò di non piangere. Non voleva che il suo ultimo ricordo sulla terra fosse il suono di lacrime e singhiozzi. Aveva lavorato tanto su quel momento, proprio per lasciare un quadro sereno negli occhi di un uomo che, nell’inevitabile atto che tutti accomuna, si apprestava ad iniziare il viaggio verso l’ignoto. Il raggio di luna ora illuminava il petto di Sandro che si sollevò in un lungo e intenso respiro. Guardò di fronte a sé e la paura e il dolore che da mesi lo avevano attanagliato, scomparvero, come se   il raggio di luna stesse assorbendo ogni cosa. Sandro accennò un sorriso, tanto che Velia si girò di scatto, aspettandosi di vedere chissà che cosa. Ma il televisore, il mobile con i Cd e i Dvd che avevano collezionato negli anni, erano lì, spettatori impotenti di quel trapasso. Eppure Sandro, quasi con dolcezza, continuava a guardare davanti a sé, sorridendo. Poi si girò verso la moglie, le sussurrò un flebile “grazie” e con le poche forze che gli restavano, riuscì a stringerle la mano. Infine, consapevole che quella luce radiosa era lì per lui, lasciò tutto ed andò incontro alla nuova vita. Velia ripensò alle parole di Padre Romolo: mentre guardava il corpo ormai senza vita di suo marito, quel corpo che aveva amato con tenerezza e passione, sentì, nel profondo del suo dolore, nascosto come un lumicino che teme di essere spento ma che resiste al gelo della morte, la certezza che lo avrebbe rivisto, un giorno, in tutto il suo splendore.

SECONDO CAPITOLO

2 Gaeta

Era l’ultima della fila: si girò ancora sperando di vedere sbucare un pirata turco tra le rocce con una spada in bocca, dando il via ad una serie di avventure senza fine, ma la sua fervida fantasia dovette fermarsi. Notò solo un signore, seduto su una roccia, che si girò e la saluto sorridente. Non lo aveva visto prima, ma sicuramente non era un pirata.

Le scale e le altezze in generale le mettevano paura, ma trovarsi lì ed attraversare una montagna con gli altri amici, le infondeva coraggio. Lei  stava passando attraverso una vera e propria roccia e non era una cosa che accadeva spesso! Lo avrebbe raccontato ai suoi compagni di scuola e alle maestre.

Erano tutti vestiti uguali e questo a Velia piaceva tanto.

Quando era nella sua città, a volte veniva presa in giro, per come vestiva, dalle ragazzine più ricche ma lei, figlia di un operaio e di una casalinga, non ci badava. Sua mamma le aveva sempre insegnato che l’importante era essere pulite e decenti e lei di certo lo era. Qui in colonia, avevano tutti le magliette bianche e i pantaloncini blu. Suo padre l’aveva mandata ai soggiorni estivi gratuiti che la ditta in cui lavorava organizzava per i figli dei dipendenti. Sua madre non avrebbe mai voluto lasciarla per tre settimane, ma suo padre era stato irremovibile: doveva fare esperienza come tutti gli altri. Loro avrebbero trascorso le ferie in campagna, nell’ appezzamento di terreno che suo padre aveva acquistato anni prima a poco prezzo e in cui aveva tirato su un piccolo edificio dove teneva gli attrezzi agricoli, un camino, un lungo tavolo e tutto l’occorrente per cucinare e mangiare lì. A Velia quella terra piaceva molto, si sentiva libera di correre e giocare, non come l’appartamento in cui abitava. Nelle palazzine del suo quartiere non si poteva saltare, cantare, né giocare a pallone in cortile: i vicini erano pronti a lamentarsi per ogni occasione. In campagna invece, tutto era diverso: l’unica cosa che odiava era il trattore che suo padre usava per la terra. Avrebbe voluto giocarci, guidarlo, farlo diventare suo, ma le era stato severamente proibito. E così poteva ammirare da lontano suo padre che manovrava con abilità quella macchina così affascinante, mentre sua madre, con la mano sulla  fronte per ripararsi dal sole, guardava preoccupata ma sorridente suo marito, tenendo Velia per mano, promettendole che un giorno lo avrebbe guidato anche lei.

Velia, a Gaeta, si sentiva un’altra. Era felice, adorava il mare e lì, in quella città, aveva tutto: le navi, i negozi, la spiaggia proprio vicino all’edificio in cui soggiornavano, il lungomare e quella montagna meravigliosa, che poteva scalare quando voleva. Le era parsa una città incantata sin dall’inizio e ogni giorno che passava lì si sentiva sempre più felice, anche se le mancavano i suoi genitori.

Passeggiando sul lungomare, aveva notato un grande pellicano, a cui tutti si fermavano a dar da mangiare: i ragazzi erano eccitati, avrebbero voluto farlo anche loro, ma suor Ernesta li diresse in spiaggia con il solito fare sicuro e autorevole. La spiaggia destinata a loro si trovava proprio sotto la Montagna spaccata. Era stata una visita emozionante e tutti i bambini avevano messo la mano nell’impronta lasciata dal turco nella parete della montagna. La terra aveva tremato in tutto il mondo , il giorno della morte di nostro Signore e Suor Ernesta aveva spiegato loro che perfino la dura roccia si era commossa alla notizia della morte di Gesù. Velia sapeva la sua storia, perché sua nonna, la maestra, la zia Rachele e la catechista gliene avevano parlato. Aveva anche capito, vedendo alcuni suoi compagni, buoni e gentili, continuamente presi in giro da quelli più alti e prepotenti, come doveva essersi sentito Gesù. Sì, quell’uomo le piaceva. Sperava, in cuor suo, che gli Angeli fossero venuti a consolare quella immensa montagna e fossero rimasti lì, ad aiutare le persone che la venivano a visitare. Per Velia, il senso del pellegrinaggio era quello: consolare la montagna, per la morte di Gesù.

Tornarono in spiaggia sul Serapo ed in fila si tolsero gli indumenti, sistemandoli ben piegati sotto gli ombrelloni.

Le regole erano ferree; ci si disponeva in fila per due e si poteva correre per fare il bagno solo al secondo fischio. Velia era la prima della fila stavolta ed incautamente dimenticò il regolamento, correndo di gioia già al primo fischio. Suor Ernesta fu però implacabile: la fece subito tornare indietro e sedersi sotto l’ombrellone. Per quel giorno, niente bagno. Velia avrebbe voluto piangere e protestare ma guardò orgogliosa in alto, verso la montagna, così imponente eppure così fragile e decise che non avrebbe versato una lacrima. Si sforzò di non guardare i suoi compagni che giocavano nell’acqua; il bagno sarebbe durato 15 minuti…troppo, per lei. Cominciò allora a disegnare sulla sabbia figure astratte e mentre scavava intorno per dar loro spessore, sperando di creare bei lavori da mostrare alla suora, un’ombra le coprì il viso.

Alzò lo sguardo imbronciata e vide un uomo alto, sorridente, che la guardava. Aveva una camicia gialla, un paio di pantaloni bianchi e piedi scalzi. Somigliava a quel signore che era seduto sulla roccia nella grotta del Turco e la salutava. Si accovacciò e le accarezzò i capelli:

– Ciao! Che fai qui?

– Beh, non posso fare il bagno, perchè sono partita prima del secondo fischio e Suor Ernesta è molto severa, allora niente bagno. Tu chi sei? Sei alto!

– Diciamo che sono alto, sì. Sai Velia, io credo che tu abbia imparato la lezione e la prossima volta sarai più paziente. Sei una brava bambina, molto speciale. Molto amata.

– Come sai il mio nome?

– Conosco tutti i bambini della colonia.

– Davvero? Allora sei il capo!! Per favore puoi dire a Suor Ernesta di farmi fare il bagno?

L’uomo sorrise dolcemente e scosse la testa. Aveva i capelli ricci, castani e gli occhi di un colore indefinito, tra il marrone e il verde, che a Velia piaceva molto.

– E’ importante seguire alcune regole, Velia.

L’uomo la guardò, dolcemente, ma con un’ombra di tristezza negli occhi e le accarezzò il viso.

– Ricordati, sarai molto amata.

Si alzò in piedi, la guardò ancora un attimo e se ne andò, allontanandosi verso la città. Velia si sentì particolarmente felice e pensò tra sé e sé che la Montagna aveva risposto al suo affetto mandandole uno dei suoi Angeli, pensiero che si guardò bene dal condividere con la suora.

Erano le 17 quando tornarono verso il collegio che li ospitava. Le strade brulicavano di gente e Velia avrebbe voluto mangiare una di quelle squisite tigelle che preparavano a Gaeta; si ripromise di chiederlo ai suoi genitori, quando sarebbero venuti a riprenderla. Avevano scelto di venire e riportarla a casa personalmente, invece di farla viaggiare con il  pullman. A Velia dispiaceva, perché amava cantare a squarciagola con i suoi compagni, ma poteva mostrare ai genitori la nave americana, la spiaggia, il pesce fresco e la montagna spaccata. Sì, il signore con la camicia gialla aveva ragione, era molto amata.

Si trovava in cortile e guardava i suoi piedi pieni di sabbia, in attesa del suo turno per fare la doccia. Era severamente proibito entrare nelle camerate con i piedi sporchi di sabbia. Suor Ernesta e il suo ampio abito bianco, che non toglieva mai, neanche in spiaggia, avanzava verso di lei, con a fianco una donna che a Velia sembrava familiare.

– Velia! - sentì gridare. Si alzò e guardando meglio vide sua zia Rachele che le tendeva le braccia. Velia le corse incontro, felice e la zia la strinse forte, piangendo.

– Piccola mia,  - le disse e continuò a parlare, mentre Suor Ernesta le cingeva le spalle. Velia non capì molto all’inizio, ma poi la terribile verità si fece strada in lei: suo padre aveva avuto un incidente con quel maledetto trattore ed era morto, schiacciato da quel veicolo che aveva sempre odiato proprio perchè le era vietato. Ma fu per strada, al ritorno, poco prima di arrivare a casa, che Velia seppe la completa verità. Capì che quel signore, sulla spiaggia, si era sicuramente sbagliato.

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TERZO CAPITOLO

3 Ed ora?

C’era molta gente al funerale di Sandro: architetto molto apprezzato nella sua città, si era specializzato nell’arredamento etnico, grazie ai numerosi viaggi che avevano compiuto nei paesi arabi e orientali.

Non avevano avuto figli, nonostante tutti gli accertamenti avessero dato esito negativo, ma dispiaceva più a lui che a Velia. Lei vedeva tutto questo come un dono; adorava viaggiare con il marito, scoprire piccoli villaggi in zone remote del pianeta e si consolò del fatto di non poter diventare mamma, con i continui viaggi che faceva con suo marito. Non erano ovviamente i soliti turisti italiani che si lamentavano per la mancanza di pasta e caffè, anche se quest’ultimo era onnipresente nello zaino di Velia, insieme ad una macchinetta ormai annerita dal tempo che lei considerava sacra come una reliquia. Si erano conosciuti all’università, avevano legato fin da subito, complice un carattere profondo e riservato e un atteggiamento nei confronti della vita pressochè identico: affrontare tutto con gioia e serenità, senza mai forzare gli eventi o pretendere di cambiare gli altri.

Entrambi colti, discreti e molto sensibili nei confronti degli altri, avevano atteso la laurea per potersi sposare. Il lavoro non era mai stato un problema: Sandro aveva iniziato la sua attività nello studio di suo padre, già apprezzato architetto, mentre Velia organizzava viaggi in Italia per alcune università europee, lavoro che amava molto e che svolgeva con successo, grazie alla perfetta conoscenza delle lingue.

“Abbiamo avuto una bella vita, Sandro”, pensava Velia, guardando la sua bara circondata da corone di fiori.

Sua zia Rachele le teneva la mano: il tempo non aveva cambiato di molto il suo aspetto gracile ma resistente. Ricordava anni prima, al funerale dei suoi genitori, le sue braccia intorno a lei, la sua voce tremante, eppure forte, che la rassicuravano promettendole tanta felicità.

Tornata a casa da Gaeta, la zia Rachele le aveva comunicato che sua madre, vedendo il marito morto, aveva avuto un infarto ed aveva finito la sua vita così, tra le braccia di suo marito, con l’ultimo pensiero rivolto alla figlia e alla sorella, nella speranza che si sarebbe presa cura della bambina. In un giorno, Velia aveva perso i suoi genitori, le sue sicurezze, le fondamenta della sua vita. Eppure, la presenza forte e rassicurante della zia, l’amore per la vita e una certa fede, ingenua ma sincera, in Dio, l’avevano aiutata a crescere con amore e serenità.

Sandro non aveva voluto essere cremato, perchè temeva che Velia avrebbe voluto portare con sé le ceneri e questo avrebbe perpetuato il suo dolore. Aveva ragione. Quell’anno avevano progettato un viaggio in  Israele, uno dei pochi paesi che non avevano ancora visitato. Avevano comprato persino un piccolo vocabolario di lingua ebraica, per imparare qualche parola. A Velia si strinse il cuore; ricordava quando avevano iniziato a  studiare il turco, tre mesi prima del loro viaggio in quella terra e lei, stanca delle numerose regole grammaticali, avrebbe voluto smettere ma continuò dietro insistenza di Sandro. I ricordi le affollarono la mente e cominciò ad avere giramenti di testa. La disperazione e l’angoscia stavano per sopraffarla e strinse forte la mano di sua zia Rachele, per non cedere. Alla fine della funzione, volle entrare personalmente in sacrestia, dando un offerta al sacerdote e ringraziandolo per la sua presenza costante a fianco del marito.

L’uomo la guardò con affetto e la scrutò con un’insolita espressione sul volto. Sembrava quasi che stesse cercando il coraggio di dirle qualche che forse non le sarebbe piaciuto.

– C’è qualcosa che vuole dirmi, padre?

– Sì, in effetti, c’è qualcosa di cui vorrei parlarle. Si tratta di un viaggio, o meglio di un pellegrinaggio, che sto organizzando in Terra Santa. Durerà otto giorni e sono sicura che le farà bene. Vuole venire?

Velia lo guardò stupita; non si aspettava una proposta del genere da padre Romolo, in un luogo che aveva deciso di visitare con Sandro. Tutto, nel suo essere, le urlava di non accettare, ma il volto sorridente di suo marito le si affacciò improvvisamente tra i suoi pensieri, come se volesse invitarla a partire.

– Le farò sapere, padre. Ora andiamo a seppellire Sandro.

La sera, dopo aver rifiutato la presenza della zia, si buttò sul letto, piangendo finalmente tutte le lacrime che aveva trattenuto quel giorno.

Quella sarebbe stata la prima notte senza Sandro.

Uscì nel cortile di casa, prese la sua sdraia e mise la mano sul bracciolo della sdraia vuota di suo marito.

– Che dici, Sandro? Vado in Israele senza di te?

Una leggera folata di vento accarezzò il viso di Velia: le sembrò di sentire un profumo di rose e si guardò intorno, chiedendosi da dove venisse.

– Lo so, Sandro, tu mi diresti di partire, ma io non me la sento.

La folata di vento e il profumo di rose si fecero più intensi.

Velia chiuse gli occhi e appoggiò la testa sullo schienale: un leggero prurito le fece riaprire gli occhi e notò una piuma bianca che era scesa dall’alto proprio sopra di lei. Si alzò, tenne stretta la piuma tra le mani e rientrò in casa, sdraiandosi sul divano. Non avrebbe mai più dormito in quel letto.

Ancora non sapeva che stava per accettare un viaggio che avrebbe cambiato tutta la sua vita.

4 ISRAEL

Il rapporto di Velia con la fede era sempre stato ambiguo: suo padre, operaio comunista anticlericale e sua madre, cattolica quanto basta per rispettare i precetti della chiesa, le avevano trasmesso l’uno il sano senso di contestazione  e l’altra la serena certezza che c’è un Dio al di sopra di tutto e tutti, a cui ci si poteva rivolgere per poter chiedere aiuto.

Diverso era il suo rapporto con Gesù; lo aveva sempre considerato un rivoluzionario, uno fuori dagli schemi e provava affetto sincero per quell’uomo che sulla croce, era riuscito a perdonare i suoi aguzzini. Lungi dal considerarlo il primo comunista della storia, come faceva suo padre, (affermazione che Velia contestava perchè Gesù non aveva mai costretto nessuno a condividere niente, né tantomeno amava che i regimi totalitari, come pretendeva suo padre, si appropriassero della rivoluzione dell’amore, del cambiamento delle coscienze che Gesù aveva insegnato all’umanità e che tali regimi avevano tradito), sentiva in lui, nel suo messaggio una forza prorompente, disarmante, che sapeva mettere a nudo le debolezze degli uomini, con amore ma con profondità. Le sarebbe piaciuto seguirlo, ascoltare i suoi insegnamenti, abbracciare quella nuova fede che aveva sconvolto il mondo, con radicalità, ma si chiedeva cosa volesse dire quella radicalità. Consacrazione ad uno stato di vita religioso? No, troppo lontano dal suo ideale di vita, che aveva in effetti realizzato con Sandro. Questa radicalità che andava cercando doveva sicuramente trovarsi nelle pieghe della vita quotidiana, tra la mura degli uffici, delle case, delle chiese, delle piazze. Era questo, secondo lei, il senso del cristianesimo, ma non ne era sicura. Ormai non era più sicura di niente. Aveva sempre festeggiato la sua resurrezione e la sua nascita, non mancando mai un Natale o una Pasqua, ma preferiva evitare il ricordo della sua passione, perchè la turbava la morte di un uomo che nella vita aveva solo amato e fatto del bene. Condannato….ma innocente. Crocifisso…ma innocente. La settimana santa non era decisamente per lei.

I controllli da parte della El Al erano lunghi e meticolosi, per ovvi motivi di sicurezza; a tutti i passeggeri venivano aperti e perquisiti i bagagli e veniva chiesto chi li avesse preparati, se qualcuno si fosse mai avvicinato ai bagagli, o magari se qualche amico avesse consegnato un pacco da portare in Israele. Erano domande tese ad escludere un eventuale avvicinamento da parte di terroristi. Velia guardava il gruppo con cui stava partendo: catechiste, giovani, anziani, il parroco, altri due sacerdoti ed alcune suore Orsoline del Sacro Cuore di Maria, venete, che a Velia piacquero subito per il loro sorriso e la loro semplicità. Velia si sentì decisamente fuori posto ma sperò che le attrattive di quella terra le avrebbero fatto dimenticare le profonde differenze con quella gente. Avrebbe condiviso la camera con Sandra, il cui nome le faceva sobbalzare il cuore, catechista vigorosa e socievole di circa 60 anni e Margherita, anche lei catechista sulla sessantina. Entrambe bionde, simpatiche ed energiche, erano molto impegnate in parrocchia e si diedero da fare per far sentire Velia a suo agio.

– Pensi Velia, la prima volta che sono andata in Terra Santa, ero con mio marito. Quante foto, quanti ricordi…Mi scusi, era un modo per dirle che so come ci si sente ad essere vedova,  - fece Sandra, abbracciandola. Velia non riuscì a trattenere le lacrime, ma si rese conto che un primo legame era stato stretto.

– Velia cara, la volevo rassicurare su una cosa. Io non russo! Può dormire tranquilla la notte! -  disse Margherita che finì la frase con una fragorosa risata. Velia le sorrise e le strinse la mano, sentendo una dolcezza infinita accarezzarle il cuore. Appoggiò la testa al sedile e pianse silenziosamente calde lacrime. Passò poco dopo un piccolo spuntino.

– Toda! - disse Velia all’assistente di volo che le aveva portato il pranzo.

– Bevakasha! - rispose sorridendo, la ragazza, stupita nel sentirsi ringraziare nella sua lingua. Velia si era premunita di imparare qualche parola di lingua israeliana, per pura curiosità intellettuale, visto che  parlavano tutti perfettamente inglese.

Il volo durò tre ore e mezzo e nel tardo pomeriggio arrivarono a Lydda, all’aeroporto Ben Gourion. Superati i controlli, uscirono dall’aeroporto e si diressero verso l’autobus che li avrebbe accompagnati per tutto il viaggio. Velia era frastornata, le sembrava che Sandro fosse lì con lei, sentiva che se avesse allungato la mano lo avrebbe trovato al suo fianco, come sempre. Era quasi felice di quella calda sensazione e nello stesso tempo si sentiva in colpa per quel sentimento, ma era sicura non solo che quell’emozione avrebbe fatto piacere a suo marito, ma che in qualche modo, dipendesse dalla sua vicinanza.

Cominciarono ad attraversare la pianura di Sharon, ricca di vegetazione ed il sacerdote, che era anche guida ufficiale della Terra Santa, cominciò ad illustrare le vicende bibliche legate a quel tratto di terra. L’aria era calda ma asciutta, e nell’autobus c’era il condizionatore. Qualcuno si lamentò della cervicale e poco dopo il gruppo, guidato dal parroco, cominciò a pregare. Velia non era molto pratica di preghiera cattoliche, specialmente del Rosario e appoggiò il viso al finestrino, guardando accuratamente il paesaggio che le si prospettava davanti. Quella ripetitiva sequenza di Ave Maria la stava cullando dolcemente e socchiuse gli occhi, cercando di immaginare quella giovane donna, incinta, in mezzo ad un paese che sicuramente l’aveva giudicata male. Una vita sconvolta da una forza che non conosceva, ma che aveva accettato, sicuramente senza capire. Si addormentò con quel viso di ragazza semplice, dolce, nella mente. Quando si svegliò erano giunti a Nazareth, la prima tappa del loro pellegrinaggio. L’albergo in cui alloggiavano era molto pulito ed accogliente, gestito da palestinesi cristiani, che parlavano un perfetto italiano, avendo studiato dai frati francescani e fu offerto loro un cocktail di benvenuto da parte del proprietario.

Sulla terrazza che dominava Nazareth, con una brezza leggera e profumata, padre Romolo diede loro il benvenuto, spiegò il programma del giorno dopo, diede la benedizione e invitò tutti a ritirarsi nelle proprie stanze, vista la stanchezza e gli impegni che aspettavano il gruppo il giorno dopo.

 

5 Famiglia.

La strada era polverosa, piena di bambini che giocavano scalzi. Velia era disturbata da quelle piccole ma fastidiose folate di vento che,  alzando la terra, le facevano bruciare gli occhi. Avrebbe voluto coprirsi con un velo ma non ne aveva. Molte persone entravano ed uscivano dalle case, edifici bassi di colore bianco, ma sembravano non accorgersi di lei, vestita in modo così differente.

Si girò di scatto, qualcuno le aveva tirato i pantaloni ed era scappato, rifugiandosi tra le vesti di una donna.

Velia sorrise: era piccolo, avrà avuto cinque,  sei anni al massimo, riccioluto, castano. Lo sguardo era vispo, furbo ma sorridente. Era stato lui a tirarle i pantaloni e a scappare e Velia si avvicinò per parlare con lui.

– Buongiorno. Volevi dirmi qualcosa? Eccomi qua!

Velia si rese conto di parlare in italiano, ma sperava che avessero capito. Il bambino scosse la testa, mise un dito in bocca e sorrise, nascondendosi dietro la mano e facendo capolino ogni tanto, sorridente. La madre, una ragazza dolcissima, le sorrise e non le disse nulla. Aveva i capelli neri, che si intravedevano appena sotto il velo e una carnagione olivastra ma luminosa, di una tonalità indefinibile.

– Mi scusi, voleva attirare la sua attenzione.

– Non si preoccupi, è bellissimo.

 Poco dopo uscì un uomo alto, robusto, con i capelli scuri, forte e vigoroso. Anche lui le sorrise, mise il braccio intorno alle spalle della moglie e la guardò con tenerezza e profondo amore. La donna appoggiò il capo su di lui, accogliendo quell’abbraccio protettivo e forte, lui prese il bambino in braccio e baciandolo sulla fronte, le disse:

– Benvenuta nella nostra casa! 

– Velia! Velia!  La voce era dolce ma insistente e Velia si rese presto conto che a chiamarla non era la giovane donna, ma la sua compagna di stanza Sandra.

– Ehi, è tardi, dobbiamo andare, ci aspetta una lunga e santa giornata! Mamma mia quante chiacchierate ti sei fatta, ma che cosa hai sognato? Su, su, alzati, è tardi!

Velia si rese conto che tutto quello che aveva visto era stato in realtà un sogno, ma era stato così reale, una scena così perfetta, che analizzandolo si rese conto che i vestiti, la strada, l’ambiente, tutto era ben lontano dall’epoca in cui si trovava. Aveva forse sognato l’antica Palestina? E chi era quella famiglia?

 

Dopo la colazione si incamminarono verso la Basilica dell’Annunciazione e Velia si rese conto di aver percorso lo stesso tratto di strada che aveva percorso nel sogno. Padre Romolo spiegò con chiarezza e precisione la storia della Basilica poi entrarono, celebrando la messa proprio sopra la grotta in cui era avvenuta l’Incarnazione di Gesù. Velia era rimasta profondamente turbata da quel sogno e si commosse nell’essere in quel luogo. Guardava la grotta e cercava di immaginare, dando il volto dei personaggi del sogno, la vita di quelle persone semplici, ma piene di amore.

– Tutto bene, Velia?L’ho vista turbata.  - le fece padre Romolo, dopo la messa.

– Non so…Mi sento….al centro di qualcosa di più grande di me. Sento che qui dentro è avvenuto qualcosa di…. di magnifico e questo mi tocca molto. Non so cosa mi stia accadendo.

Padre Romolo la guardò, sorridendo. Era ben diverso dal parroco indaffarato e frettoloso, dai modi sbrigativi, che aveva conosciuto nella sua città. I suoi lineamenti erano rilassati, parlava con amore e passione di quella terra e riusciva a dare un senso perfino ai sassi che incontravano lungo la strada.

Avrebbe voluto raccontargli del sogno, ma non ci riuscì. Le sembrava fosse un piccolo, grande segreto da custodire nel suo cuore. Uscendo dalla Basilica, si incamminarono verso il mercato di Nazareth e Velia ne approfittò per fare amicizia con altre persone, anche se avrebbe voluto restare in disparte a riflettere.

Nel pomeriggio, mentre tutti riposavano, andò sulla terrazza dell’hotel, per ammirare il panorama che le si prospettava davanti. Leggere folate di vento le arrivavano sul viso e sentiva il profumo delle spezie pizzicarle il naso. Ripensò alla dolcezza del volto di quella donna, a quel viso vispo e sorridente del bambino, allo sguardo tenero e protettivo di quell’uomo e si chiese se, per caso, non avesse sognato quella che la sua fede definiva La Sacra Famiglia.

“Gesù, Giuseppe, Maria, vi dono il cuore e l’anima mia” era solita dire la sera prima di addormentarsi, insieme alla mamma, piano, per non farsi sentire dal padre, che avrebbe rotto l’incanto con i suoi simpatici strali antireligiosi.

– Gesù, Giuseppe, Maria, piacere di conoscervi!  -disse Velia, pensando al sogno e la folata più forte delle altre le diede l’illusione che ricambiassero il piacere.

Nel pomeriggio partirono per visitare il Monte Tabor, il luogo dove era avvenuta la Trasfigurazione. Velia guardava il paesaggio dal finestrino e si stupì di quanti gruppi, provenienti da ogni parte del mondo, visitassero quei luoghi. Cenarono lì, in un locale vicino alla chiesa molto ampio e tornarono a Nazareth. La sera, sulla terrazza, condivisero le emozioni del giorno, liberamente, ognuno secondo le proprie disposizioni interiori. A Velia non andava di parlare; al dolore per la morte di Sandro si aggiungeva l’emozione di quel viaggio, la curiosità non solo religiosa ma artistica e culturale per quella terra così ricca di tradizioni, differenze sociali e religiose e una certa dolcezza, flebile ma tenace,  le si andava insinuando nel cuore. Tutto questo formava un groviglio di sentimenti che le impedivano di esprimersi liberamente. Sperò mentalmente di riuscire a sbloccarsi, anche se temeva  che condividendoli potesse sciupare tutto quello  che stava provando.

Padre Romolo la incitò ad aprirsi, se lo desiderava. Tutti la guardavano, sorridenti. Velia guardò per un attimo davanti a sé, come per prendere forza da quella terra così ricca di spiritualità e stringendo la sua borsa tra le mani, disse:

– Io volevo dirvi che sono molto felice di aver intrapreso questo viaggio. E’ un periodo difficile per me, molto difficile. E so di essere molto diversa da voi. Siete persone abituate a pregare, a partecipare alla Messa, conoscete canti, preghiere, salmi, insomma, pur nella vostra diversità, siete un gruppo eterogeneo. In questo mi sento molto diversa da voi. Eppure, nello stesso tempo, tutto questo mi tocca molto, perchè pur non capendo appieno la fede, ho sempre cercato di viverla nel quotidiano, senza cercare nella religione altro che un’identità sociale, perdonatemi la schiettezza. Ora mi rendo conto che questa nostra fede ha una radice, forte e chiara e la sto vedendo qua, in questo pellegrinaggio. Quello che per molti è un brav’uomo, un profeta, un guaritore e che per noi è invece il Figlio di Dio e Dio fatto uomo, ecco….perdonatemi il linguaggio semplicistico, io capisco ora che ha avuto una casa, una patria, una famiglia, luoghi veri dove camminare e insegnare. Non so ancora quanto influirà sulla mia vita, ma sento questa fede strana, non convenzionale, che ho sempre avuto, più radicata, più collegata ad un uomo. Niente di etereo, di lontano, è tutto molto vicino a me. Ecco, perdonatemi la confusione, spero di essere riuscita a dirvi tutto quello che sento. E…grazie, perchè ora sto meglio.

Velia scoppiò in lacrime e tutti andarono ad abbracciarla.

Poco dopo padre Romolo le andò vicino e la ringraziò.

– Velia, quello che ha detto è molto bello. Tutti, quando partiamo per un pellegrinaggio, siamo alla ricerca di qualcosa. E lei lo ha detto senza mezzi termini, senza finzioni, con serenità e semplicità. Ha colpito il cuore di tutti. Chiara, sincera, senza ipocrisie. Gesù non ha mai amato le ipocrisie, mai.

Velia sorrise, ancora scossa per quello inaspettato sfogo che le aveva aperto una breccia in quella muraglia che sentiva erigersi interiormente.

– Già, so che discuteva spesso con i farisei. Padre, io non conosco il Vangelo.

– Posso darti del tu, vero? Ti invito a leggerlo, ad approfondirne il contenuto. Non è un limite il fatto che tu non abbia mai frequentato ma uno stimolo. Non corri il pericolo del legalismo, dell’ipocrisia religiosa, sta tranquilla.

– Perchè parla di legalismo, padre? Di pericolo?

– Dammi del tu, per favore. Ti parlo di pericolo perchè il legalista non ha bisogno di Dio, della sua misericordia. Ha bisogno di regole da rispettare aridamente, senza chiedersi qual è il centro di un comandamento. Sono tutti tesi a lodarsi, a dire a Dio…”Guarda quanto sono bravo!” e in tal modo acquisiscono un metro di giudizio per poter giudicare costantemente gli altri e sentirsi superiori, migliori. Quanto è dannoso Velia, per la nostra anima! Gesù ha sempre messo in guardia da tutto questo, ed è un pericolo presente in ogni religione. Non farti intimorire da canti e citazioni bibliche, vanno bene, sono importanti, ma devono nascere da un profondo legame con Dio, che io ti invito a coltivare, altrimenti diventano solo semplici apparenze. Ecco,  ora che ti stai rendendo conto che questo nostro Dio fatto uomo è stato bambino, ha camminato sulle strade della sua terra per risvegliare le coscienze, lo sentirai sicuramente più vicino a te. Tu sei entrata dalla porta del dolore nel mondo della fede e della spiritualità e questo ti arricchirà molto.

Velia rimase molto colpita da quelle parole e quella notte andò a letto più serena.

 

 

 

6 Dialogo

Il giorno dopo visitarono il lago di Tiberiade, il monte delle Beatitudini, Cafarnao, i luoghi in cui Gesù aveva iniziato il suo ministero e Velia, grazie alle spiegazioni di padre Romolo, ebbe una vera e propria finestra aperta su un mondo così lontano eppure così attuale che sentiva il desiderio di approfondire ogni aspetto di quella Terra. Numerosi gruppi si aggiravano tra le rovine di Cafarnao e pranzarono in un bellissimo kibbutz-ristorante dove poterono gustare dell’ottimo pesce. La visione era spettacolare e dopo pranzo fecero un giro con il battello su quel lago in cui Gesù aveva compiuto miracoli e sulle cui sponde aveva chiamato i primi apostoli. Fu una giornata intensa e memorabile. Tornarono stanchi a Nazareth e dopo la cena, fatta la condivisione di pensieri, dubbi, domande, andarono tutti a letto. Velia chiacchierò con le sue compagne di camera e si addormentò esausta.

 

Le sponde erano ricche di barche e pesce. Velia guardò attentamente il lago, come per imprimere nella mente ogni increspatura e poi, in un attimo, si ritrovò sul monte delle Beatitudini. Le folle avevano ascoltato il Maestro parlare e dopo aver mangiato, Gesù passò tra loro, imponendo le mani e guarendo.

Velia guardava quei volti speranzosi e provò un misto di amore e rabbia. Sedette sull’erba e lo aspettò. Poco dopo, lui la raggiunse: stavano andando tutti via e si sedette accanto a lei. Non riusciva a vedergli il volto, era troppo luminoso e Velia dovette mettersi la mano sulla fronte per coprirsi gli occhi.

 

– Non ti amano. Tu li aiuti, ma loro non ti amano, sai. Hanno solo bisogno di te!Tu farai una brutta fine e nessuna di queste persone ti aiuterà!-  gli disse Velia, in tono polemico.

Lui sorrise, ma non le disse nulla.

– Perchè non riesco a vederti? Sei troppo luminoso.

– Non sono io che sono troppo luminoso, Velia, sei tu che hai ancora dei veli davanti agli occhi.

– Quali veli? Perchè?

“Si chiamano paura, dolore, sfiducia, preconcetti e tanto altro, ma non temere. Andranno via.

– Tu….tu sei qui, con queste folle che ti acclamano, ti ascoltano, chiedono guarigione, vogliono mangiare. Tu fai tutto: spieghi le Scritture, dai comandi nuovi, li guarisci, li nutri, li sfami. Ma tutta questa folla, un giorno ti abbandonerà. Ti vengono dietro perchè fai loro comodo, perchè dai loro qualcosa. Sono opportunisti. Non è vero amore.

– E’ normale che quando si ama, ci sia uno scambio di doni, di condivisione, Velia. So benissimo cosa ha nel cuore tutta questa gente”.

– Mi parli di condivisione? Ma loro, a te, cosa danno? Niente. Richieste, preghiere, desideri da esaudire. Quanti di loro ti amano e basta? Quanti di loro ti amano per quello che sei e non per quello che dai?

– Io sono ciò che compio, Velia, fa parte della natura umana. Anche tu, quando hai avuto bisogno del sacerdote, sei andata da lui. Lo ami? Sicuramente no. Eppure sei andata da lui. Perché? 

– Perché è la sua missione.

– Appunto. La mia è quella di amare, incondizionatamente. Ciò vuol dire togliere la parola “se”. Ti amo se…..ti aiuto se….No. L’Amore Divino è Amore Incondizionato.

– Ma tu credi davvero che queste persone cambieranno la loro vita!?-  continuò Velia alzando la voce.

– Le persone non sono amate da Dio se si pentono, Velia. Si pentono quando finalmente sentono l’Amore di Dio. E’ diverso.

– E cosa mi dici di me? Della mia vita? Come mi hai amata? Togliendomi i miei genitori? Togliendomi l’uomo che amavo?

– Velia, io ti amo sin dal tuo concepimento. Ti ho vista e amata, sin da quando eri una minuscola cellula, sin da quando la tua anima ha preso vita nel grembo di tua madre. I tuoi genitori avevano semplicemente finito il loro percorso terreno. Come Sandro, d’altronde. Ma ti assicuro che non hanno smesso di amarti, anzi, ti amano ancora di più, senza quei limiti umani, quell’ego a volte ingombrante che ci fa giudicare, magari allontanare le persone che amiamo. So che non era il tuo caso e credimi, non era questa la visione di Dio nel mondo.

– I miei genitori hanno scelto dunque di morire?

– Non ho detto questo. Ho detto solo che hanno terminato il loro corso terreno. E sei stata ripiena di amore. Da tua zia, da tuo marito, compagni di università, colleghi di lavoro. E da me.

– Tu potevi scegliere di salvarti. Perchè non l’hai fatto?

– E come? Rinnegando la verità? I miei insegnamenti? Dicendo…scusate, era tutto uno scherzo, non era vero che dovete amarvi gli uni gli altri come io ho amato voi? Ridatemi i miracoli, riprendetevi le vostre malattie? Continuate pure ad essere così, caro popolo, a ritenervi migliori degli altri, senza compassione né misericordia? No. Sapevo benissimo a quello a cui andavo incontro. Per entrare nel regno dell’Amore, bisogna Amare ed io l’ho fatto e continuo a farlo. Nel farlo, amando sino alla fine, ho indicato agli altri la strada per questo Regno. Credimi, Velia, se servisse, io morirei di nuovo per te. Se servisse anche una sola goccia del mio sangue, lo farei di nuovo. Ma non serve. Devi prendere coscienza che sei una creatura nata per amore, fatta per amare. Allora, i veli davanti agli occhi, cadranno. E sei a buon punto credimi. E ricordati Velia cara, l’Amore senza giustizia è buonismo. La giustizia senza amore è legalismo.

L’immagine svanì, delicatamente. Velia senti un vero e proprio dolore fisico, quando lui scomparve nel nulla. La sua voce, la sua dolcezza, il suo modo dolce e pacato, erano una fonte di amore e luce meravigliosa. Mentre lui parlava a Velia sembrava di comprendere il mistero stesso della vita e della morte e riusciva a percepire la profondità della sua anima. Le sembrava che il suo intimo essere fosse collegato a quell’uomo, come se in lui si potesse comprendere la bellezza della sua vita. Nonostante tutto. E Velia cominciò a capire.

Svegliandosi, gemette e disse: – Dove sei? Ti prego, rimani con me!

Come era possibile che Gesù avesse voluto parlare proprio con lei? E da dove veniva quella meravigliosa sensazione di conoscerlo da sempre? Quel desiderio di restare ancora con lui, di non farlo andar via, di aiutarla a scoprire il segreto della vita, della fede, del fine ultimo di tutte le cose?

Perchè aveva fatto quel sogno? Era frutto del suo dolore, di cercare conforto in qualcuno che identificava con il Bene assoluto? Oppure era una semplice suggestione, un desiderio della sua anima di essere in qualche modo in contatto con una realtà soprannaturale che la aiutasse a capire il senso della sua vita? O forse, e questa era la spiegazione che più le piaceva, ma che più la spaventava, c’era stato davvero un qualcuno che da un altro mondo, aveva cercato di comunicare con lei e questo qualcuno era proprio il Figlio di Dio?

Era stupita dalla familiarità con cui gli aveva parlato, stupita di non riuscire a vedere il suo volto e ancora più sorpresa dalla dolcezza, dalla profondità e dall’amore che aveva sentito in quel frammento di sogno. E quando tutto era svanito, risvegliandosi, sentiva proprio il desiderio di rivederlo ancora, di parlarci, di porgli delle domande, di capire cosa avesse provato lui in quei 3 anni di vita pubblica, di chiedergli aiuto, perchè la sua, di vita, era andata in frantumi con la morte del marito. Come riaverlo vicino? L’Eucarestia, la Messa, la preghiera, erano davvero un modo per mettersi in contatto con lui? Perchè se fosse bastato quello, si sarebbe applicata per riappropriarsi di quella serenità che aveva vissuto in quei pochi attimi e che era comunque iniziata appena  aveva messo piede in quella terra così  particolare.

Capì allora che in una maniera del tutto nuova per lei, indefinibile e profonda, lontana dai sentimenti umani , cominciava a provare cosa fosse  l’amore per  Gesù. Avrebbe voluto averlo al suo fianco tutto il giorno, sentire la sua voce, stargli accanto, per essere consolata da lui, capita ed accolta. Il giorno dopo, sentiva ancora quella inquietudine, quel desiderio di averlo con sé e per la prima, primissima volta in vita sua, desiderò l’Eucarestia con ansia quasi, con amore. “Vieni in me, ti prego, vieni in me, non lasciarmi”. Era una sensazione nuova per lei. Lui aveva tutte le risposte, davanti ai suoi occhi, aveva il desiderio di aprire il proprio cuore, i propri pensieri, la propria anima. Era quella che i cristiani chiamano conversione?

Il giorno dopo lasciarono Nazareth e si diressero verso il Mar Morto, dove videro il famoso fenomeno dei bagnanti che leggono il giornale su quelle acque dense senza affondare. Avrebbe voluto rotolarsi tra i fanghi ma non le andava. Il sogno l’aveva lasciata irrequieta, triste, eppure dolcemente nervosa. Doveva parlare con padre Romolo. Si recarono sulle rive del fiume Giordano, dove rinnovarono le promesse battesimali e lì, per la prima volta, si rese conto che non avevano scelto una religione, ma una persona. Non lo aveva scelto lei, ma i suoi genitori per lei e ripetè quelle promesse con forza, con una luce nuova negli occhi: stavolta l’atto di seguirlo era una sua precisa decisione, animata da una volontà forse non ancora forte, ma comunque sincera, di capirlo ed aderire a lui. La sera fu un viaggio particolarmente commovente: arrivarono in quella che era stata la Giudea, lasciando la dolce Galilea, con cantici e salmi vari. Da lontano, si intravedeva una meravigliosa cupola color oro e quella notte era luna piena. “Rallegrati, Gerusalemme, accogli i tuoi figli tra le tue mura!” cantavano i fedeli nell’autobus. Velia, come al solito, non conosceva il canto, ma ne assaporava ogni parola. Sandra, al suo fianco, non riusciva a smettere di piangere:  

-Grazie Signore, perché hai permesso che vedessi di nuovo Gerusalemme. Grazie Signore.

Anche Velia era emozionata. Lì si era svolto tutto: la sua morte, la sua passione, la sua resurrezione. Giunsero in albergo emozionati. La sera, dopo aver pregato tutti quanti insieme, si ritirarono nelle loro stanze. Velia aveva però il desiderio di guardare il panorama ed uscì sulla terrazza dell’albergo, moderno e funzionale.

La vista le toglieva il respiro: qualche pellegrino le aveva parlato del “mal di Gerusalemme” che ti prende al ritorno da quel viaggi e Velia ci aveva creduto.

La Cupola della Roccia si imbeveva della luce lunare per poi rifletterla tutta intorno, rendendo ogni singola cosa maestosa e suggestiva. Era trascorso un mese dall’ultima luna, che con i suoi raggi aveva accarezzato ed accolto il corpo morente di suo marito. Ricordava il suo ultimo sorriso improvviso ed inaspettato, che l’aveva in parte rasserenata. Aveva visto forse Gesù che veniva a prenderlo per portarlo in quel suo regno d’amore? Quante domande si affollavano nella sua mente, quanto dolore e gioia insieme, un sentimento indefinibile. Sapeva, anzi ne era sicura che lo avrebbe sognato ancora e avrebbe voluto sognarlo lucidamente, per poter dirigere le sue domande, le sue obiezioni, ma sicuramente i bisogni della sua anima sarebbero venuti fuori meglio, quando lei dormiva. Padre Romolo le si avvicinò: – Velia, ti ho vista particolarmente luminosa, oggi. Sei felice?

– Padre, io non so cosa mi sta succedendo. Ho fatto dei sogni, due per la precisione. Nel secondo, ho dialogato a lungo con lui.

– Con tuo marito? E’ normale!

– No padre, con Gesù.

– Ah, che bello!Bene! Il Signore sceglie svariati modi con cui manifestarsi. Come erano i tuoi sentimenti al risveglio?

– Beh, ero un pò polemica con lui e non riuscivo a vederlo in volto, ma è stato bello. Mi sono svegliata con un forte desiderio di averlo accanto, ho una forte irrequietudine, vorrei averlo vicino, parlargli….spero di ritrovarlo nella preghiera. Ho bisogno di lui, sento che solo Lui potrà aiutarmi a ricomporre i pezzi della mia vita.Padre, ero felice, incantata dalla sua voce, ma avevo …anzi ho un malessere forte, particolare.

– Vorresti vederlo sempre, vero? Averlo accanto, vicino a te.Tutto ha senso in lui e niente ha senso senza di lui, giusto? Vicino a lui ti sembra di capire ogni cosa, tutto ha un significato, persino il dolore…è così, Velia?

Velia cominciò a piangere.

– Sì, padre, è così. Mi sento proprio così.

– E’ semplice, Velia. Molto semplice. Ti stai innamorando di Gesù.

– Io non credevo potesse esistere un amore del genere. Così, in tre giorni. E’ strano. Non è umano. L’amore per Sandro è stato ed è meraviglioso, ma quello per lui è un qualcosa che prende l’anima. E’ soprannaturale. Sono due modi di amare diversi.

– So benissimo di cosa parli e non parlerei di tre giorni, evidentemente c’era un buon seme di amore in te e sta venendo fuori ora. Lui tira sempre fuori il bene da noi. Velia cara; l’ho provato anche io e lo provo ancora, anche se…

– Anche se?

– Lasciamo stare. Temo di essere frainteso. Guarda Velia, oltre la spianata del Tempio, lì, dietro la cupola della Roccia, c’è il monte degli Ulivi. Lì è stato arrestato e portato via. Lì è iniziata la fine secondo il mondo, ma per noi è stato l’Inizio.

– Io non so che senso abbia ora la mia vita, dopo la morte di mio marito, ma so che con lui avrebbe un senso!

– Ti confiderò alcune cose. So che mi capirai. Sai, Velia, quando mi sono innamorato di Cristo ed ho desiderato seguirlo, avevo un fuoco dentro, di amore profondo e forte per lui. Ed il mio desiderio era quello di adorarlo e servirlo portando questo fuoco agli altri. E ne sono ancora convinto! Tra i contadini della mia parrocchia, tutto questo aveva un senso. Vedevo, nella semplicità del mio popolo, il sorriso di Cristo . Vedevo, nelle tante ingiustizie, qualcosa per cui lottare al suo fianco. Sono italiano, appartengo ad una congregazione missionaria e dopo una breve esperienza in Italia, sono partito per il Guatemala. Lì ho lavorato anni nei villaggi più poveri dell’interno. Dopo 20 anni mi hanno richiamato in Italia e sono stato mandato come vice parroco in un piccolo paese, per poi finire a fare il parroco nella tua città. Ma mi sono sentito subito a disagio, anche se vado avanti per amore suo. Quel sacro fuoco che avevo si andava man mano spegnendo. Avrei voluto portarlo a tutti, parlare di lui, esortare le persone a cambiare vita, per essere felici, ma il mio entusiasmo…diciamo è stato raffreddato da una cultura completamente diversa dalla mia, perchè ormai posso dire che quella guatemalteca è la mia cultura. Tutte queste attività parrocchiali, le persone che vengono per i sacramenti, matrimoni, comunioni, cresime e poi scappano. Duemila preoccupazioni, per i vestiti, cerimonie, formalismi…Lì ogni giorno si ringraziava Dio per aver il cibo, gli animali domestici  ed un pozzo di acqua potabile che non fosse troppo distante. All’inizio ho provato una profonda irritazione: io volevo parlare e portare Cristo, ma mi si chiedeva di dirigere una parrocchia con l’atteggiamento di un manager. Ho iniziato a cambiare, ad essere come la cultura e la mentalità del luogo richiedevano. E così, mentre avrei voluto girare per le case a trovare gli ammalati, ad aiutare coppie in crisi, a giocare a pallone con i bambini di strada, per insegnare loro quanto Dio li ami, mi sono ritrovato ad organizzare feste parrocchiali, corsi di matrimonio per coppie annoiate, catechesi di cresima per adulti che chiedono il sacramento non per Gesù, ma perchè così si possono sposare in chiesa e rispettare la tradizione. Credimi, è stata ed è tuttora molto dura. Ma se lui lo ha permesso, è stato sicuramente per insegnarmi ad amare questi fratelli così materialisti, distratti e lontani da quello che è il mio concetto di comunità cristiana. Mi credi se ti dico che ho riscoperto la radice della mia vocazione, venendo a trovare tuo marito, tenendogli la mano, quella mano che per me è quella del Cristo sofferente?

– Padre…io non pensavo ti sentissi così a disagio.

– Oh, non preoccuparti. Il Signore ha voluto che lo servissi in modi diversi, in società e culture differenti, ma ora mi rendo conto che questo paese ha molto più bisogno di Lui, che non i miei fratelli contadini. Sto vedendo un paganesimo dilagante nell’opulento occidente e questo mi destabilizza. Vedo poche persone sorridere, ma ovunque  guardi vedo rabbia, desiderio di primeggiare…Perfino nel parcheggiare una semplice macchina, si innesca una piccola e quotidiana guerra. Vedo tante persone che per pura moda si avvicinano a tecniche orientali, che hanno una tradizione millenaria, pronte a rinnegare la propria fede e la propria cultura, ma nello stesso tempo non riescono a cogliere appieno le radici di questi nuovi culti che stanno abbracciando perchè sono attratti dall’aspetto esteriore. Così facendo rinnegano la propria fede, che non hanno mai approfondito in realtà e non riescono a comprendere quella a cui pretendono di aderire. Scimmiottano, esternamente, i maestri delle altre religioni, per pura moda. Ho sentito sempre parlar male dei preti, ma vedo che ogni tanto arriva un nuovo guru che promette di trovare sé stessi, che promette di insegnare a diventare Dio e intanto continua a fare seguaci e soldi. Additano sé stessi come esempio da seguire, non portano a Dio, ma a servire il proprio ego. Non capisco cosa stia succedendo a questo mondo, ma non fa niente. Come dico sempre io ai fedeli, non sempre dobbiamo capire subito, non sempre siamo pronti a cogliere la portata di un evento, se non dopo molto tempo. Ogni anno, grazie a Dio, riesco a venire in questo posto che continua ad emozionarmi e ad arricchirmi. Ma credimi, sono stato davvero male, mi sono sentito indegno di essere sacerdote  e lontano anni luce da quello che era il mio ideale di servo del Signore.

– Credimi, quando mi sono avvicinata a te, in parrocchia, non mi hai fatto una buona impressione. Ma poi, nel sentirti parlare, specie di lui, ti garantisco che traspare tutto il tuo amore. Credimi, lo trasmetti perfettamente. Solo, se posso darti un consiglio, ecco, non so se posso permettermi, ma vorrei dirti alcune cose.

– Ma certo che puoi, parla! Tranquilla! Ho bisogno anche io di confrontarmi con qualcuno, non pensare che sia autosufficiente solo perché sono un prete!

– Non farti schiacciare da questi meccanismi parrocchiali. Se viene una persona, magari lontana dalla vita della chiesa, che ha bisogno di aiuto, di un consiglio, non l’accogliere in maniera frettolosa, solo perché hai una riunione con un gruppo. Sappi che la persona che ti sta cercando ha paura ed ha bisogno di te. Non accoglierla come un imprevisto, ma ascoltala. Questo fastidio si percepisce molto, credimi, e non è bello. Le persone devono sentirsi accolte.

– Grazie Velia, non puoi capire quanto questo mi faccia piacere questa tua critica. Mi sto vedendo con i tuoi occhi ora e fa un po’ male, ma ci lavorerò sopra.Ora andiamo a dormire, domani avremo una giornata intensa.

Velia sorrise sperando di sognarlo di nuovo, ma fu un sonno pesante e profondo, ristoratore e si addormentò con il volto di Sandro nel cuore.

 

7 Gerusalemme.

Il mattino dopo visitarono Betlemme e il pomeriggio fu dedicato a Gerusalemme, al Monte degli Ulivi e alla via Crucis per le vie della Città, tra un mercato pieno di gente, commercianti, pellegrini e turisti che facevano da cornice rumorosa a quella pia pratica. Vi era anche qualche commerciante che, al loro passaggio, in segno di scherno alzava la radio per coprire le loro preghiere, ma non vi fecero caso. Velia aveva la sensazione di averlo vicino, lo sentiva camminare con lei per quelle strade affollate e dentro la basilica, si commosse nel vedere il Golgota, con la fenditura nella roccia, provocata al momento della sua morte. Velia aveva sempre evitato il venerdì santo, perchè non amava pensare a quella morte atroce ed ingiusta, ma lì dovette fare i conti con quella terribile realtà, anche se mitigata dalla cappella della Resurrezione, che si trovava sempre all’interno della Basilica. Guardando la roccia, le tornò in mente la spaccatura della montagna di Gaeta, quel santuario che l’aveva così affascinata, l’ultimo ricordo felice di una giornata da dimenticare, quella in cui aveva scoperto di essere orfana.

La sera cenarono in un tipico ristorante arabo, poi fecero una passeggiata fino alla spianata del Tempio. Gerusalemme era bellissima. Ogni tanto incontravano soldati israeliani che pattugliavano le zone; molti di loro erano donne che facevano il servizio militare e sentì due di loro parlare in russo. Era un vero e proprio crogiuolo di lingue diverse, ma tutti ovviamente parlavano perfettamente l’ebraico, oltre all’inglese. La cucina araba era deliziosa, così come l’ospitalità dell’albergo, sempre gestito da palestinesi, cortesi ed affabili. Tornati in albergo, ascoltarono la preghiera del muezzin e Velia si senti di chinare il capo di fronte a qualcuno che lodava la grandezza di Dio. Avrebbe voluto parlare con padre Romolo di questioni riguardanti la fede e la spiritualità, ma temeva di annoiarlo. Nella sua camera, Sandra raccontava del suo viaggio avvenuto anni prima, con suo marito, di quanto fossero rimasti colpiti da tutto quello che li circondava, comprese le divisioni tra le varie religioni.

– Cosa pensi, Velia? Ti vedo serena.

– Mah, cosa penso…Gerusalemme è stupenda, davvero. Capisco la nostalgia che lascia questa terra. Sai, mi piace immaginare che un giorno, nelle strade di Gerusalemme, le persone, festose, cantino e danzino per le vie della città, senza più divisioni, rancori, odi razziali. Senza soldati né armi. Tutti figli di un unico Dio, ognuno con la possibilità di esprimere l’amore che ha nel cuore, nella sua lingua e cultura. Lo so, forse è un’utopia.

– Perchè un’utopia?. Lui un giorno tornerà Velia, lo ha promesso! -le fece sorridente Margherita col suo fare ingenuo e dolce allo stesso tempo. Aveva una fede semplice, da bambina, ma non era forse il genere di persone preferito da Lui?

Già, la sua fede le insegnava che un giorno sarebbe tornato. Era un modo di dire? Una forma letteraria per esprimere la speranza che un giorno il mondo sarebbe stato migliore? Era una promessa da prendere alla lettera oppure era un linguaggio figurato per dire che l’Amore un giorno avrebbe trionfato? Aveva delle amiche buddiste e altre seguaci di nuovi movimenti spirituali e parlavano di Gesù come di un’energia, potente, amorevole, ma pur sempre di un’energia, oppure di uno dei tanti maestri ascesi. Per lei non era così, ora lo aveva capito. Lui non era un grande maestro, un grande profeta, un maestro asceso degno di rispetto che faceva parte del vasto mondo di maestri dell’umanità. Lui era l’unico che aveva amato sino a morire, che sulla croce aveva perdonato, che aveva aperto le porte, sino ad allora chiuse, che conducevano a quel regno di Amore che chiamavano Paradiso. L’uomo aveva perso la strada del Bene, schiacciato da odio e paura, Lui, l’aveva riaperta, aveva insegnato al Mondo come si Ama. Non con la meditazione, non con una serie di regole, ma con la vita.

Si stava sempre più rendendo conto che questa religione, il cristianesimo, in realtà era incentrata su una persona, su di Lui. Era un seguire qualcuno. Lui. Era quella la vera rivoluzione.

– Buonanotte, Velia e sogna Gesù mi raccomando! - le fece Margherita sorridendo e facendole l’occhiolino.

– Speriamo! -rispose Velia, stupita da quell’augurio che si rivelò profetico.

 

Il cielo si era oscurato e le nubi si stagliavano minacciose: dalla terra si sentiva un boato, forte, una sorta di lamento interno, di urlo agghiacciante, che proveniva dal centro della terra. Lamenti e gemiti provenivano dalle altre due croci. La donna, avvolta in un mantello nero piangeva, abbracciata da alcune donne e da un giovane.

Velia vide il suo capo reclinarsi, un ultimo saluto a quel popolo, a quella terra che lo aveva acclamato e crocifisso. Velia cominciò ad essere scossa da gemiti e non riuscì a fermare le lacrime.

L’evento che aveva sempre accuratamente evitato in chiesa, ora era lì, davanti ai suoi occhi. La Madre abbracciò il figlio, martoriata dal dolore e gli accarezzava il volto con con la mano destra, mentre con la sinistra gli teneva il capo. Lentamente gli tolse quella beffarda corona e gli ricoprì la fonte di baci, bagnando le sue labbra con il sangue del suo figlio.

“Mio amore, mia vita, mio Signore!”piangeva la donna cullandolo nel suo grembo, come quando era bambino. Ma non vi erano sorrisi e smorfie, solo dolore stavolta. Il ragazzo la abbracciò forte e piansero insieme, così, madre e figlio, uniti da Lui sulla croce. Ad un tratto lei rimase in silenzio, fermò un attimo il suo doloroso dondolio e guardò fissa davanti a sé, come in ascolto. Un lieve, impercettibile sprazzo di serenità le attraversò lo sguardo e tornò a guardare il suo amato figlio, mentre con la destra stringeva la mano dell’Apostolo.

C’erano altre persone, lì, sotto la croce, donne, soldati, curiosi, ma Velia vedeva solo il suo corpo martoriato tra le braccia della madre, vedeva quel sangue scorrere lungo il pianeta, pronto a purificare, ad amare, a risollevare la miseria della condizione umana. Bagno d’amore, di pace, di vita, che nasceva dalla morte atroce dell’innocente. E vide, sopra il suo corpo, un calice, meraviglioso e brillante, essere innalzato e risplendere di una luce abbagliante, di una luminosità così dolce e potente da illuminare l’intero universo.

“Amore mio, Figlio mio amato, Figlio mio adorato, Mio amore e mio Signore, ti aspetto”, disse la donna, che pur nel dolore, riusciva a mantenere quello sguardo dolce e fiducioso che aveva visto Velia, per la prima volta a Nazareth.

Velia era stremata dalle lacrime e guardava quel calice ergersi sopra tutte le brutture del mondo. Vide quell’amore e quell’Amore di Madre unirsi a ogni gemito materno che risuonava nel Mondo, vide il dolore di Dio e quello dell’uomo, ma vide anche la forza e la speranza, che nascevano da quel dolore, da quella Donna, da quel Sangue. Dal suo Corpo e dal Suo Sangue.

Velia si inginocchiò, tremando, soffrendo per Lui, piangendo calde lacrime, chiedendo perdono per non essere riuscita a capire prima il valore di quella morte, il valore di quel dono che era lì per Lei. Avrebbe voluto abbracciarlo, consolare la Madre, unirsi all’Apostolo, ma il sogno svanì, e si ritrovò con Margherita e Sandra che la abbracciavano e asciugavano le sue lacrime, preoccupate da quello che pensavano fosse un incubo da cui essere consolata.

Si affrettò a tranquillizzare le sue amiche, asciugandosi le lacrime, dicendo che era stato un sogno particolarmente doloroso. Le signore tornarono a letto e Velia, che si era calmata, cercò di riaddormentarsi, ma senza successo.

 

Non si sentì di parlare con padre Romolo di quel sogno e trascorse i due giorni del viaggio in una stato di forte emozione.

Sandra le camminava sempre a fianco, non la lasciava mai sola e durante la messa sedeva vicino a lei.

– Sai, Velia, mi sono sentita quasi in colpa, per essere venuta la seconda volta, senza mio marito. La prima volta, anni prima, è stato meraviglioso, ma ora è ancora più emozionante. Sai, bisticciavo con lui. Si chiavama Antonio, insomma bisticciavo con lui perchè fumava e ogni volta che visitavamo un luogo sacro, si sbrigava ad uscire per fumare. Mi arrabbiavo così tanto, per quel vizio. Non so, sono felice di essere tornata qui e di averti conosciuta. Mi manca mio marito, ma sono sicura che un giorno saremo di nuovo insieme e spero che non fumi in paradiso!”

Velia sorrise e ringraziò la donna per la sua vicinanza e discrezione.

L’ultima sera fu dura per tutti; nessuno aveva voglia di tornare alle proprie attività quotidiane, specialmente  Velia, che avrebbe trovato solitudine e paura.

Pregò a lungo, a modo suo, chiedendogli di aiutarla a dare un senso alla sua vita.

Il giorno dopo partirono con una profonda tristezza nel cuore e Sandra chiese a Velia di sedersi vicino a lei, sull’aereo. La signora che era seduta vicino a Velia accettò lo scambio e andò a sedersi vicino a Margherita, anche lei visibilmente dispiaciuta che quegli otto giorni fossero trascorsi così presto. Sandra chiacchierava con Velia, cercando di rasserenarsi, ma Velia non riusciva proprio ad essere di compagnia, quel giorno. Aveva il cuore pesante, oppresso dall’ansia e dalla paura e neppure la sensibilità e la simpatia di Sandra riuscivano a scuoterla. Cercò di addormentarsi e al risveglio si rese conto che erano quasi arrivate.

– Sandra, siamo quasi a Roma. Dai, se tutto va bene, il prossimo anno torniamo insieme!- disse Velia, stringendole la mano. Si era addormentata con la testa sulla sua spalla, con un sorriso dolce sul volto. Sembrava una bambina, ringiovanita di molti anni.

Il suo viaggio era finito; il suo più grande desiderio era stato quello di tornare in quella Terra che aveva così tanto amato nel suo primo pellegrinaggio. Chissà, la gioia, la paura di trovarsi di nuovo sola o il desiderio di ricongiungersi all’uomo che aveva sempre amato, avevano fermato il suo cuore. Sandra era morta così, dando la mano a quella nuova amica che le faceva tanta tenerezza, su quell’aereo che stava per riportarla a casa e Velia, per la seconda volta in un mese, si trovò faccia a faccia con la Morte.

 

8 Nuova Vita

Velia camminava tra le strade del centro storico di Gaeta, assaporando l’odore del mare, del pesce appena pescato e ammirando le palazzine di via Indipendenza, con quelle case al piano terra, nei vicoli interni, teatro di cene all’aperto nelle sere d’estate.. Il cielo quel giorno era particolarmente sereno e il castello di Gaeta, la cui ala angioina  era stata sede del carcere militare, si stagliava sulla città nel suo imponente splendore. Velia aveva il cuore triste, eppure sentiva di aver fatto la scelta migliore. Non era riuscita a superare la morte di Sandro e trovarsi in quella casa, tra i ricordi dei numerosi viaggi che avevano compiuto insieme, il letto su cui era morto, era troppo doloroso. Decise allora di vendere la sua casa e di trasferirsi da un’altra parte. All’inizio le era venuto in mente Gaeta, ma aveva scartato l’idea perchè troppo legata alla morte dei suoi genitori. Poi, con il passar dei giorni, pensò che non fosse sbagliata, come decisione. Aveva un bel ricordo di quella città ed era rimasta affascinata dal Santuario della Montagna Spaccata, dalle chiese, dai colori del porto, del centro storico. Sua zia pensava che sarebbe stata una città perfetta in cui vivere. La vivacità della cittadina, la continua presenza di turisti, i numerosi monumenti l’avrebbero sicuramente aiutata a riprendere in mano la sua vita, dopo quel lungo periodo di sofferenza.

Velia avrebbe voluto che sua zia Rachele andasse a vivere con lei, ma la donna si rifiutò decisamente di seguirla. Aveva le sue abitudini, i suoi orari e desiderava inoltre che la nipote trovasse nuove amicizie, nuovi stimoli per continuare ad apprezzare la vita. La parte più difficile fu quella di liberarsi dei numerosi oggetti che aveva collezionato con suo marito nei frequenti viaggi che avevano compiuto insieme. Non aveva nessuna intenzione di portarli nella nuova casa: la voleva piccola, calda, accogliente, con pochi mobili, semplici ed essenziali. Uno stile sobrio, per una nuova vita. Nel distacco, sentì un vero e proprio dolore fisico, perchè sapeva che non li avrebbe mai più rivisti, ma si rendeva conto che era un passo fondamentale per lasciarsi alle spalle il passato.

La casa che aveva acquistato a Gaeta si trovava nel centro storico, in una palazzina antica, con piccoli balconi in ferro battuto. Dal suo balcone poteva vedere il mare, in tutto il suo splendore, la splendida costa, il Monte Orlando, su cui si trovava la sua bellissima Montagna Spaccata. La vendita della sua casa e l’acquisto di quella nuova avevano richiesto tempo e si era trasferita nella sua nuova abitazione nel mese di marzo.

Non aveva raccontato a sua zia i  sogni che aveva fatto in Terra Santa, anche se l’aveva riempita di descrizioni e souvenir: sentiva che erano parte di un bagaglio spirituale che aveva acquisito e che doveva conservare gelosamente per sé. Aveva sperato in altri sogni rivelatori, che l’aiutassero a penetrare quel grande mistero d’amore, ma non arrivarono.

Era nato in lei quel sentimento, delicato, ma profondo per quel suo uomo/Dio. Era andata a trovare Padre Romolo, dopo lo choc per la morte di Sandra sull’aereo, cercando consolazione in quel sacerdote così schietto ed introspettivo e lui le aveva parlato con la solita dolcezza e sensibilità.

– Velia cara, tu hai superato la differenza tra religiosità e fede, in poco tempo. Dalla religiosità sei sempre stata lontana, sei entrata nella fede, facendo un’esperienza particolare. Io credo che tu debba fare l’esperienza personale dell’incontro con il Risorto e sono sicura che in questa nuova fase della tua vita, lo conoscerai meglio. Benedici questo vuoto che senti dentro di te, benedici questa irrequietudine, che ti porterà a cercarLo e a cercarTi. Tutto ha senso in Cristo, figlia mia, tutto. Il vero credente non si ferma mai, è perennemente in cammino e tu non sei sola. Non so quali siano i progetti di Dio su di te…ma sono sicuro che approfondirai la tua fede.

Velia era arrivata davanti al Duomo di Gaeta, la Basilica dei Santi Erasmo e Marciano. Entrò e si sedette davanti al Tabernacolo. La chiesa risaliva al VII secolo, ma era stata più volte rimaneggiata. Il suo campanile spiccava contro il cielo limpido di Gaeta ed era sicuramente uno dei simboli della città.

L’appartamento di Velia si trovava al secondo piano ed aveva una piccola ma deliziosa terrazza, che si ripropose di fornire di un semplice tavolo da giardino, con un ombrellone e delle sedie. Per il momento non avrebbe invitato amici, ma non poteva escluderlo in futuro. La sua nuova casa aveva un bellissimo salone con angolo cottura, una camera da letto, un piccolo studio e un bagno. 60 metri quadri erano più che sufficienti per lei, senza togliere il fatto che se sua zia avesse cambiato idea, avrebbe avuto spazio per lei, adattando lo studio a cameretta.

Al piano terra abitava una famiglia che non conosceva, di fronte a lei c’era un altro appartamento, e al piano di sopra abitavano altre due famiglie.

Si ripropose di fare conoscenza con loro al più presto.

La Chiesa la invitava a credere che lì, in quell’Ostia, c’era davvero il Suo Corpo e il suo Sangue e lei voleva credere che lì c’era davvero Lui. Avrebbe voluto vederlo, parlargli, ascoltarlo, ma era impossibile: non doveva far altro che cercare di mettersi in sintonia con lui, di ascoltare la sua voce. E se fosse stato tutto frutto di un’illusione? Se quei sogni erano il suo modo di elaborare una esperienza legata comunque al cristianesimo, quale era appunto il suo viaggio in Terra Santa? Cosa doveva fare ora della sua vita? Come poter vivere da sola, senza amore, con un lavoro che la costringeva a stare a casa, che non prevedeva contatti umani, se non attraverso semplici email e telefonate oltremare?

“Non puoi deprimerti in una città così bella, Velia!” disse a sé stessa.

Guardò il tabernacolo. Era stata a messa più di una volta al ritorno dal pellegrinaggio e ascoltando il Vangelo, riusciva a ripercorrere con la mente tutti i luoghi che venivano nominati durante le letture. Era come viverli due volte. Era lì  e nello stesso tempo in Terra Santa. Guardò la chiesa: era antica, ricca di opere d’arte. Ricordava qualche accenno di suo padre al fatto di spogliare le chiese, dare tutto ai poveri, i soliti discorsi che era solito fare, in nome di un pauperismo che ora non approvava di certo. Era felice che quei capolavori fossero lì, alla portata di tutti, per essere ammirati non solo dai fedeli, ma anche da semplici turisti. Erano un patrimonio culturale che andava difeso; il senso di giustizia sociale di suo padre, lo portava spesso ad arrabbiarsi contro i ricchi, ma Velia aveva capito che le cause della povertà non erano certo nell’arte, ma nella sbagliata gestione dei beni della terra.

Sì sentì irrequieta ed a un certo punto uscì. Sapeva dove doveva andare.

9 Sogni e parole..

Aveva un ricordo diverso, di quella salita: le sembrava non finisse mai e si chiedeva se lo spettacolo che prometteva Suor Ernesta, valesse la fatica di quella camminata.

Agli occhi di una bambina, ogni luogo sembra avere forme e dimensioni diverse, mentre l’adulto tornando a distanza di tempo, sorride nel constatare che lo stesso posto sia molto più piccolo di quanto lo ricordasse.

Sulla sinistra, c’era un venditore di carrubi, olive di Gaeta ed altre squisitezze del luogo, ma Velia non aveva voglia di mangiare nulla. Il panorama era stupendo, come sempre. La spiaggia del Serapo si stagliava sullo sfondo, nitida,  ancora vuota di quella marea di ombrelloni che l’avrebbero presto affollata. Il Santuario della Santissima Trinità accoglieva pellegrini, fedeli, semplici turisti e subito dopo appariva come per incanto quel luogo così mistico, ricco di parole, preghiere e sogni, tra il mare, la vegetazione del Monte Orlando su cui si ergeva il Santuario, quelle fenditure nella roccia, quelle spaccature così dure, eterne, segno per Velia che qualsiasi evento, nella vita può incrinare le incrollabili certezze che ognuno di noi ha nel suo cuore. La Montagna aveva tre fenditure e Velia fece una riflessione, mentre toccava con religioso rispetto e venerazione quelle pareti, che nei suoi ricordi di bambina, erano segno della delicatezza della Roccia, commossa e addolorata per la morte del Giusto di Dio. Anche nella sua vita c’erano state tre fenditure; la morte dei suoi genitori, la morte di suo marito e l’abbandono della sua casa e della sua città per la sua nuova vita in quella città.

Il viaggio in Terra Santa aveva scosso la sua vita, la sua fede: sapeva di avere qualcuno che le stava vicino, ma quei due intensi sogni le avevano lasciato ulteriori domande e irrequietudini, che neanche la preghiera poteva placare. O forse, come diceva padre Romolo, non sempre dobbiamo trovarle le risposte, perchè è proprio quell’irrequietudine che ci spinge a cercare di vivere al meglio la nostra vita.

Sulla sinistra della chiesa si trovava la grotta del Turco. Velia respirò a fondo quell’aria densa e salmastra e cominciò a scendere gli scalini che portavano alla grotta. La mano destra era appoggiata alla ringhiera, mentre sulla sinistra la vegetazione spuntava curiosa tra le rocce. Un primo piccolo piazzale di cemento le diede modo di riposare. Non era stanchezza la sua, quella l’avrebbe riservata al ritorno, nel risalire gli scalini, ma  emozione mista a un qualcosa di indefinito.  Trasse profondi respiri  mentre guardava le acque che dolcemente si andavano a scontrare con le numerose rocce sparse nel mare. Il profumo della salsedine le solleticava il naso e guardava ammirata il riverbero della luce del sole, tenue ma comunque presente, che si specchiava in quella piccola grotta. Aveva voglia di piangere, di sedersi sulle rocce e bagnarsi il volto, aveva voglia di condividere con i suoi genitori quello spettacolo, e aveva voglia di parlare con Sandro. Aveva voglia di urlare e nello stesso tempo di tacere. Quella Montagna, quella scalinata, quella grotta, erano una grande immensa chiesa, in cui la sua anima inquieta sarebbe riuscita sicuramente a trovare pace. Aveva voglia di lasciare frammenti della sua anima su quelle rocce, per lasciare impresso nel mondo qualcosa di sè. Era scossa, triste, felice e malinconica. La voglia di piangere aumentava,  così come cresceva la voglia di capirsi, di accettare le pieghe che la vita le avrebbe riservato, il desiderio di mettere tutto nelle mani di Qualcuno e dirgli, con fede: pensaci Tu!

 Credeva di essere sola ma si accorse con stupore che c’era qualcuno.

Il ragazzo aveva un giubbotto blu, un paio di jeans e sedeva su una delle rocce della grotta.

Velia era dispiaciuta per quella presenza, avrebbe voluto piangere, sfogarsi, parlare da sola, ma la presenza dello sconosciuto glielo impediva.

Il ragazzo si girò e mostrò un viso sorridente e sereno.

– Buongiorno.

– Salve. Pensavo di essere sola.

– No. Questo posto mi ispira particolarmente, quando non c’è nessuno.

– Già. Solo che ora siamo in due, - rispose  Velia, sorridendo per cancellare l’evidente delusione che doveva sicuramente leggersi sul suo volto.

– Ami anche tu questo posto? -le chiese l’uomo, sorridendo. Aveva i capelli riccioluti, scomposti e una simpatica espressione. Aveva un’ombra di barba sul volto e qualche ruga intorno agli occhi, come se fosse stato esposto per lungo tempo al sole.

Velia rimase stupita da quella domanda. Avrebbe voluto tornare indietro, ma temeva di essere maleducata, anche se l’ultima cosa che voleva era quella di condividere i ricordi con un perfetto sconosciuto. 

– Sì, mi è rimasto impresso sin dall’infanzia. Io sono venuta qui in colonia, da bambina. Avevo dieci anni.

– Già. Ricordo quel giorno che non potesti fare il bagno, perchè eri partita prima del fischio di Suor Ernesta. Eri rimasta così male! Però hai ubbidito, sei stata brava. E speravi che gli Angeli fossero intorno alla montagna per consolarli della morte di Gesù..

Velia si sentì mancare: le gambe cominciaronon a tremarle, il fiato le si fece corto e nascose le mani nel giubbotto per nascondere l’improvviso sudore. La paura la bloccò, paralizzandole i muscoli e il suo stomaco comincò a contrarsi, facendole sentire spasmi sempre più fastidiosi.

Avrebbe voluto parlare, ma riuscì solo a deglutire un vuoto spaventoso, mentre le parole si erano fermate nella sua mente.

Dovette sedersi, mentre continuava a guardare lo sconosciuto.

– Non ti ricordi di me, Velia?

Nel sentirlo pronunciare il suo nome, la tensione che le stava attanagliando lo stomaco si sciolse, anche se temeva comunque di perdere il controllo delle sue emozioni. “Scappa!” le diceva una voce nella testa. Ma le gambe erano pesanti, non riusciva a muoversi.

– Avevi…..avevi una camicia gialla e un paio di pantaloni bianchi. Eri scalzo. Mi dicesti che sarei stata molto amata. E quel giorno, quel giorno seppi che mio padre e mia madre erano morti.

– Già. Hai pensato che mi fossi sbagliato, vero?

– Ho pensato di tutto. Ho avuto paura.

– Io non ti dissi che non avresti sofferto, ma che saresti stata molto amata. Ora puoi capirlo, è diverso.

Lo guardò negli occhi, di una dolcezza incredibile.

– Velia, dammi la mano.

Mai nessuno aveva pronunciato quel nome con tanto amore e purezza allo stesso tempo.

– Chi sei?

Lui non rispose e sorrise.

Velia si alzò in piedi e gli diede la mano, mentre con la sinistra stringeva spasmodicamente la borsa. Una sorta di calore le attraversò il braccio, diffondendosi in tutto il corpo. Il tempo si era fermato. Tutto, attimi, battiti, respiri, era fermo ed immobile mentre il Creato ascoltava.

– Io conosco la tua voce. La conosco.

– Abbiamo parlato, in un sogno. Ma non vedevi il mio viso.

Velia ritirò la mano all’improvviso, coprendo l’urlo che le stava uscendo dalla bocca.

– Tu….tu sei…No, non è possibile, questo non è un sogno! Tu sei Gesù!!

– Esatto, Velia, sono Gesù.

Tutta la tensione che aveva Velia si allentò di colpo e sentì una calma composta impadronirsi di lei.

– E perché ora ti vedo?

– Perché molte tue paure sono crollate. I veli che ti impedivano di vedermi. Ansia, timori, le emozioni che ti schiacciavano. Stai riprendendo pian piano il controllo della tua vita e puoi vedermi. Tutto qua.

– Io non riesco a crederci. Tu sei quel Gesù, il figlio di Dio, tu sei Gesù? Io pensavo che saresti tornato in maniera……

– Più plateale?  - disse sorridendo, finendo la frase per lei.

– Sì, insomma, nuvole, sangue, apocalisse…insomma. Oddio, ma che sto dicendo.? Ma allora, se io ti vedo, ti parlo, vuol dire che è giunta la fine del Mondo?

– Velia cara, la fine del Mondo è cominciata dopo la mia morte e resurrezione. Una nuova vita, guidata dall’amore, dal rispetto, dalla certezza che si può vivere nel bene, è stata questa la scelta posta all’uomo. E non tutti l’hanno accettata.

– Ma perché stai parlando con me? Chi sono io? Non ho neanche tutta questa fede!

– Velia, tu hai molto amato. I tuoi genitori, tua zia, il tuo lavoro. Hai amato tuo marito, con il corpo, mente ed anima. Hai amato i tuoi studi, hai sempre affrontato la vita con amore. Raramente ti sei lamentata, ma ti sei applicata ad ogni attività con un atteggiamento sereno, positivo e propositivo. Hai sempre aiutato chiunque ti avesse chiesto aiuto. Hai affrontato la morte di tuo marito nel modo che ho insegnato io al Mondo, con serena certezza che sarebbe vissuto in eterno. Sei una persona speciale. Hai amato i popoli con cui sei venuta a contatto nei numerosi viaggi, hai amato la loro lingua, la loro cultura, senza mai giudicare. Non ti ho mai sentita giudicare nessuno e di fronte alle critiche degli altri, ti ho sentita sempre giustificare in qualche modo i comportamenti sbagliati che potevano avere. La tua vita è stata all’insegna dell’Amore. Amo tutti gli esseri umani, Velia, ma sono, diciamo, in particolare sintonia, con le persone che sanno Amare davvero. E tu sei una di queste.

– Io non capisco. Non mi sembra di avere tutto questo amore. Quello di cui tu mi stai parlando è un mio atteggiamento innato, nei confronti della vita. Non mi sembra così speciale.

– E’ quella la cosa importante. Per te è naturale comportarti così. Capisci?

– Cosa vuoi da me, Gesù? Ti rendi conto di cosa comporta questa tua “apparizione”? Come faccio a vivere una vita normale, dopo essere stata qui, in questa grotta, a parlare con il Figlio di Dio? Tu mi sei mancato tanto, dopo quei sogni, ed ora lo so, mi mancherai, quando uscirò da qui.Che cosa vuoi? E’ giunta la fine di questo mondo?E il bello è che mi viene da piangere. Ma sono felice. Mi sembra perfino inutile parlarti, penso che tu sappia tutto di me. Che succede?

– Velia, non ti chiederei mai qualcosa per te impossibile da   fare. Ma prima voglio rispondere alla tua ultima domanda. Si, Velia. E’ giunta la fine del Mondo. E’ giunto il tempo che ci sia un grande cambiamento di coscienza, che ci sia vera conversione, è venuto il momento che le persone si rendano conto di come sta andando questo pianeta, di come si vive male in preda all’odio, all’egoismo, all’avidità. Cosa voglio da te? Che tu sia semplicemente te stessa. Ascoltami Velia, tu conoscerai delle persone che abitano nella tua palazzina, che hanno bisogno di dare un senso alla propria vita. Devono, se vogliono salvarsi, abbandonare il peccato, devono ritrovare la strada del bene, devono prendere consapevolezza che Dio li ama, li vuole felici. E tu dovrai aiutarli. La vita che stanno vivendo ora non è all’insegna dell’Amore, ma della Paura.

Io? Cioè…tu stai chiedendo a me di aiutare delle persone? Mi sento una specie di derelitta ed io dovrei aiutare un’intera palazzina? E come faccio? E tu, dove sarai? Io ho bisogno di confrontarmi con te, ho tante cose da chiederti! Non andartene, per favore!

– Velia, avremo un’eternità per stare insieme. Stai tranquilla, io sarò sempre con te.

– Vorrei chiederti una cosa, anzi, tante. Sandro sta bene? I miei genitori?

– Sandro sta benissimo, è in un luogo ricco di pace, amore, luce, con tante altre anime. I tuoi genitori stanno bene, stai tranquilla, vegliano su di te.

– Gesù, è stato così orribile, quel giorno, vero?

– Velia, ho visto tutto il male del Mondo. Il male a venire. Ho visto guerre, distruzione, pedofilia, massacri di innocenti, ho visto gli aborti, famiglie distrutte, bambini sofferenti per gli adulteri dei genitori, genocidi e stermini. Ho visto l’orrore del peccato pesare su di me. Ma non preoccuparti. I figli delle tenebre sono numerosi ed hanno maggior potere decisionale purtroppo, perché molti di loro sono in grado di stabilire l’andamento delle economie, malattie, sorti del mondo, all’insegna del profitto, mai dell’Amore e della Giustizia. Il danno maggiore lo fanno coloro che non hanno consapevolezza di dover scegliere fra luce e tenebre, amore e odio, non riescono a decidere di convertirsi. Vanno avanti così, accettando il male come inevitabile, restando complici di tutto ciò che impedisce all’uomo di essere felice. E così ogni aspetto della loro vita è marchiato dal male.

Si sposano, tradiscono, ingannano, mentono, usano il lavoro non come servizio ma come potere, evitano di educare i figli, lasciandoli allo stato brado, ma te ne potrei citare a centinaia di esempi. Sei abbastanza sensibile per capirlo da sola. Le persone che incontrerai sono nel mezzo. Come la maggior parte delle persone. Tu dovrai aiutarle a scegliere la strada della luce e del bene, Velia, perchè essere nel mezzo non va più bene. Non basta più essere brave persone, bisogna scegliere il bene. E’ diverso. Rileggiti il Vangelo di Giovanni. Capirai meglio.

Velia rimase così, muta, guardandolo negli occhi, scorgendo in quello sguardo profondo l’intero creato immerso nella luce primordiale della creazione.

– Gesù, io non capisco ciò che tu mi chiedi, ma capirò. Stammi vicino.

Gesù sorrise, le prese la mano.

– Facciamo la salita insieme, gradino per gradino, vuoi?

– Sì.

Velia si sentiva rapita da lui. Salì senza alcuna fatica quelle scale. Giunti davanti alla chiesa della Santissima Trinità, lui le prese le mani, la guardò negli occhi e le disse:

– IO sono arrivato.

– Per favore non andartene.

– Velia, io sono sempre con te. Da oggi in poi sentirai la mia voce nel tuo cuore. Se verrai in chiesa, davanti al tabernacolo, ti sarà più facile.

– Non ti rivedrò mai più?

– Ci rivedremo, stai tranquilla. E quando avrai finito il corso della tua vita terrena, verrò a prenderti io, come sono venuto a prendere Sandro. La tua vita sarà molto più lunga. Ricordati di fare spesso la comunione. Nelle tue vene scorre il mio stesso sangue, chi si ciba di me purtroppo raramente si rende conto di essere mio fratello. Hanno cercato per secoli il potere che derivava dal mio Sangue, creando leggende e storie sul famoso calice, senza aver cercato con gli occhi dello Spirito, del Cuore. Il potere dell’Amore è il segreto racchiuso in quel calice. Nutrendoti di me, ti nutrirai di quell’Amore. Sorella e amica mia, buon cammino.

Gesù entrò nella chiesa, si girò un attimo, salutandola con la mano e scomparve. Velia sentì un vuoto incredibile, uno strappo forte all’interno della sua anima: non aveva mai capito appieno cosa volesse dire essere innamorati di Cristo. Aveva fatto esperienza di tale amore già in Terra Santa e sapeva di tanti santi e anime a lui consacrate, che lo amavano tanto da morire per lui, ma mai avrebbe pensato che quel tipo di amore fosse toccato a lei. Entrò in chiesa e diede libero sfogo alle sue lacrime, noncurante delle persone che sedevano dentro.

 

10 Inizio

 

Velia si svegliò, dopo aver riposato un’oretta, al ritorno dal Santuario. Doveva effettuare dei pagamenti tramite Internet, per conto di un gruppo di Edinburgo che sarebbe partito la settimana prossima per un tour in Veneto, ma aveva la testa pesante, e gli occhi gonfi di pianto. Aveva pensato di inserire Gaeta in un eventuale viaggio in Italia, studiando un itinerario apposito, ma al momento non era sufficientemente lucida per organizzarlo.

Tutto quello che aveva vissuto quella mattina , le era parso un sogno, un’illusione avvolta in nebbie dense, oscure. E se avesse avuto un’allucinazione? Come poteva aiutare le persone che abitavano nella sua palazzina? Trovarsi di fronte Gesù era già incredibile da accettare a livello di incontro personale, figuriamoci dover raccontare a qualcuno di quello che aveva vissuto. Ripensò al dialogo e si diede della stupida per non averlo trattenuto più a lungo. Avrebbe voluto fargli più domande, ma non era sicura che lui le avesse dato le risposte.

Amore, sapienza, gioia, speranza, ma anche serietà, impegno, responsabilità: questo emanava da Lui e quelle erano le doti che Lui aveva visto in lei. Non riusciva a crederci. Aveva una missione, un compito da portare avanti. Ed era stato Gesù Cristo a darglielo. Cosa poteva fare? Consultare uno psichiatra? Non se la sentiva, le sarebbe sembrato di tradirlo, raccontando un evento così particolare ed unico nella vita delle persone. Aveva bisogno di parlarne con qualcuno, ma non sapeva come. Poteva andare in una chiesa qualunque di Gaeta, chiedere di parlare con il parroco ed esordire, dicendo: “Salve, sono Velia, e volevo dirle che ho parlato con Gesù!”

 

Si alzò ed optò per una doccia, che sicuramente le avrebbe schiarito le idee. Mentre si stava insaponando, sentì il cellulare squillare. Era certamente sua zia Rachele, che voleva informarsi su come andavano le cose. Si sbrigò ad uscire, con il bagnoschiuma su tutta la pelle e prese il telefono che si trovava nel mobile del soggiorno.

Era un numero che non aveva memorizzato.

– Pronto, Velia?

Una voce da uomo, che non riuscì a riconoscere.

– Sì, sono io, chi parla?

– Sono padre Romolo. Come stai?

– Padre Romolo, sono così felice di sentirti. Non ti avevo riconosciuto, scusa!Come stai?

– Bene, mia cara! Ascolta, ho bisogno di parlarti.

– Ma possiamo parlarne per telefono? Perchè al momento non posso proprio venire in città.

– No, non preoccuparti, neanche io mi posso muovere. Va benissimo per telefono. Ascoltami cara, io so che tu hai ricevuto una visita da Gesù.

Velia rimase senza parole. Cosa stava accadendo?

– Come lo sai?

– Me lo ha detto Lui. L’ho visto anche io, Velia.

– O Dio mio…Allora non è venuto solo da me. E che cosa ti ha detto?

– Mi ha aiutato a comprendere meglio la mia missione. E mi ha chiesto di incoraggiarti e di starti vicino. Stai tranquilla Velia. Non è stato un sogno, né un’illusione. Non hai bisogno di psicanalisi, né di cure mediche. E’ tutto vero. E puoi confrontarti con me per qualsiasi dubbio, paura, non temere. Sei stata scelta, da sempre.

– Padre Romolo, io…sono così felice di avere un punto di riferimento umano. Voglio dire, qualcuno con cui condividere questo segreto.

– Lo so, Velia, lo so. Riceverai dei segni, degli aiuti, preziosi, piccole cose che ti faranno capire i passi da fare. Ma ricordati Velia, le cose più importanti sono due.

La prima, è che tu devi essere semplicemente te stessa, vivere la tua vita ordinaria..Nessuno ti chiede di aprire il Mar Rosso o camminare sulle acque. Vivi lo straordinario nell’ordinario. La seconda, la più importante, è che Lui è sempre con te. Non sarai mai sola. Mai. Chiaro?

Velia si commosse e cominciò a piangere. Era una giornata lacrimosa, evidentemente.

– Grazie Padre Romolo. Sono così confusa, così intimorita, ma ora sto molto meglio. E…sì…Ho capito. O meglio, non ho capito niente, ma devo andare avanti, senza farmi troppe domande, giusto?

– Esatto. Vai, mettiti al lavoro. E prega. A Gaeta, c’è anche una chiesa molto bella, la chiesa di san Francesco, recati anche lì, quando potrai, sono sicura che ti piacerà anche a livello artistico. Il viceparroco è un mio buon amico, veniamo dallo stesso paese, ma ovviamente non dovrai parlargli di questo. Buona giornata, Velia. Ci sentiremo presto. Chiamami, se hai bisogno.

Velia salutò padre Romolo con un sussurro e decise di uscire.

Era stanca, aveva molto lavoro arretrato, ma aveva bisogno di passeggiare. Non si recò sul Serapo, ma camminò lungo Via Indipendenza, ammirando la case e i vicoli del cuore di Gaeta.

Tornata a casa, stava per mettersi al lavoro, quando la finestra si spalancò improvvisamente e una rivista, che aveva poggiato sul tavolo della sala da pranzo, si aprì. Velia vide una ricetta di un dolce per vegani, senza latte né uova, semplice e dall’apparenza gustosa. Si trattava di un dolce a base di farina di riso e noci, che la rendeva adatta anche ai celiaci. Non aveva gli ingredienti e dovette riuscire per comprarli. Si mise subito al lavoro e dopo un’ora e mezza circa la torta era pronta. Non era un’appassionata di dolci, amava i sapori forti, salati e piccanti, ma aveva sempre apprezzato la cucina vegana, ricca di accostamenti particolari, che poteva essere adatta non solo ai vegani ma alle persone con intolleranze ed allergie. Una forza interiore, molto particolare, la spingeva ad andare avanti.

Finì di spedire le varie email ai partecipanti del tour e presa la torta, decise di cominciare a fare il primo passo. “Gesù mio, non posso crederci di aver preparato un dolce, con queste mie mani….Se Sandro mi vedesse…ma chissà forse mi vede” ragionò tra sé e sé, pensando con dolcezza a suo marito, che l’aveva pregata più volte di evitare di farli, visto i risultati disastrosi. Stavolta sembrava che l’esperimento fosse riuscito. Capì cosa volesse dire superare i propri limiti, anche se non ne comprendeva il motivo.

Respirò fortemente e suonò al campanello del primo piano, proprio sotto il pianerottolo dove abitava lei. Le tremavano le gambe per la paura, non aveva idea di chi abitasse lì e non sapeva neanche cosa stesse facendo, a dire il vero.

La porta si aprì ed una signora con i capelli corti, grigi, gli occhiali ed una tuta da ginnastica grigia la accolse con un’espressione incuriosita.

– Sì? Mi dica.

– Salve signora, mi chiamo Velia e mi sono trasferita da poco al piano di sopra. Ecco, volevo presentarmi e darle un dolce che ho fatto, spero le  piaccia. Questo è per lei. Se avesse bisogno di qualcosa, non esiti a chiamarmi.

La signora la guardò stupita e imbarazzata. Aprì ulteriormente la porta e Velia intravide un ingresso rivestito da un’orribile carta da parati giallognola, con motivi floreali bordeaux.

– Beh..io la ringrazio, benvenuta. Purtroppo sono diabetica. Insomma, non posso mangiare dolci, vede.

– Ma io sì! Mamma, falla entrare per favore.

La signora si girò stizzita, cambiando tono e guardando verso l’interno:

– Roberto, per favore, sei celiaco e sei allergico alle uova!

– Venga Velia, si accomodi, siamo felici di conoscerla.

La signora si spostò e Velia riuscì a vedere a chi appartenesse quella voce. L’uomo, alto, magro, con un viso molto pallido ed uno sguardo intenso, forte, le sorrise dandole la mano.

La donna sospirò, nascondendo a stento l’irritazione e la fece accomodare.

L’uomo, sulla sedia a rotelle, le presentò sua madre.

– Questa è mia madre, si chiama Maria. Ed è tutto vero. E’ diabetica, ed io sono celiaco ed allergico alle uova, nonché intollerante al lattosio. La scusi, non voleva essere sgarbata.

– No, non si preoccupi…Roberto, giusto?

– Giusto.

– Vede, questo dolce è a base di farina di riso, ed è completamente senza uova né latte. Lei può mangiarlo tranquillamente, a meno che non sia allergico alle noci!

La signora Maria prese, leggermente imbarazzata, il dolce tra le mani e sorridendole a mo’ di scusa lo portò via.

Di fronte alla porta di ingresso si trovava il soggiorno. I mobili erano scuri, pesanti; un antico lampadario a gocce pendeva dal soffitto e sulla  destra un divano consunto di un orribile color senape, con sopra dei quadri di natura morta, davano un’aria ulteriormente tetra alla casa. Un tavolo da pranzo con un ripiano di marmo giallognolo e venature marroni e delle sedue imbottite di velluto dello stesso colore del divano, una vetrina color noce che aveva sicuramente visto tempi migliori e un piccolo mobile su cui si trovava un telefono senza filo, completavano un arredamento pesante, asfissiante. Le tende di colore bordeaux, purtroppo, chiudevano la veduta della città, rendendo il tutto buio ed opprimente.

– Non c’è molta luce, Velia, lo so. Mi dà fastidio.

Velia lo guardò meglio: aveva i lineamenti molto delicati, gli occhi neri, i capelli grigiastri, su cui resisteva ancora qualche capello nero, le mani lunghe, affilate, da pianista. Tutto di lui, le dava l’idea di una persona che aveva rinunciato a vivere.

Si guardò intorno in cerca di libri, ma non ne vide.

– Come dicevo a sua madre, mi chiamo Velia, mi sono trasferita da poco a Gaeta e volevo fare la conoscenza degli altri abitanti del palazzo.

– Sì, ho sentito. Lei è venuta ad abitare nell’appartamento di un nostro caro amico. Avevano un figlio che ha deciso di trasferirsi in Australia per lavoro e loro hanno pensato allora di andare a vivere nel Cilento, dove la signora ha una piccola casa, con della terra. Mi mancano molto, ma sono contenta che sia venuta lei. Di cosa si occupa, Velia?

La signora Maria entrò con un vassoio, la torta tagliata a piccole fette, ed una tazzina di caffè.

– Ecco la torta,  almeno la mangiate voi due. Prego Velia.

– Grazie, signora Maria, io adoro il caffè.

– Allora, mi diceva? Di cosa si occupa?

– Ho un’agenzia online che organizza viaggi in Italia per università estere. E’ un lavoro che posso fare comodamente da casa, mi piace molto. Lavoro principalmente con la Gran Bretagna.

– Lei è fortunata, a fare un lavoro che ama. E’ sposata? le chiese la madre.

Roberto alzò gli occhi al cielo, in tono di scusa per l’indiscrezione della madre. Anche lui indossava una tuta, dello stesso colore della donna. Guardò le sue gambe inermi e si chiese cose potesse essergli successo.

-Sono vedova, Maria. Mio marito è morto il mese di agosto, dopo mesi di sofferenze. Ed ora eccomi qua, pronta a cominciare una nuova vita. E lei? Anche lei è vedova?

Roberto si imbarazzò e guardò le sue mani abbandonate sulle gambe, evitando lo sguardo delle due donne.

– Vedova? Una vedova anomala. Ma non ho un luogo su cui piangere quell’uomo. Anzi, non desidero affatto piangerlo, è questo il bello. Mio marito mi ha lasciata tanti anni fa per un’altra donna. Anzi, ha lasciato me, incinta di Roberto. Stiamo parlando di 35 anni fa, e io non sapevo di essere incinta, pensi. Non l’ho mai più visto né sentito, fino a quando ho avuto la notizia della sua morte, in Argentina. Pensi, aveva una famiglia in Argentina! So anche il nome della città: Villaguay. Questa donna era stato l’amore della sua vita e quando l’ha incontrata di nuovo, dopo il matrimonio, lei gli  disse che sarebbe partita per l’Argentina. Lui le aveva nascosto di essere sposato e la raggiunse. A me disse che andava in Argentina per sistemarsi e mi avrebbe mandato i soldi per raggiungerlo e farci una vita laggiù, ma ovviamente mentiva sapendo di mentire.  Non si sposarono mai, ma ebbero due figli. E cinque anni fa, la signora mi scrisse che il suo ”compagno” era morto. Che faccia tosta! Mai avuto notizie, spiegazioni, scuse o altro. All’inizio mossi mari e monti per ritrovarlo, ma poi persone ben informate mi dissero che aveva un’altra. E dopo anni, mi sono ritrovata solo una lettera per avvertirmi che era morto. La conservo ancora, sa? Non ho il coraggio di buttarla. Non ho versato una lacrima. Era morto già da tempo per me. Per fortuna ho sempre lavorato come sarta, altrimenti non so come avrei fatto.  

– Lei poteva in qualche modo rintracciarlo, farle sapere del figlio, - si azzardò Velia..

– A che scopo? Mio marito incontra la sua ex fidanzata, scopre di esserne ancora innamorato, fugge con lei, nascondendole di essere sposato, poi glielo confessa, lei lo ama e resta con lui, fanno due figli, lei si degna di dirmi che è morto, ed io avrei dovuto imporre la paternità ad un uomo che non mi voleva? No Velia. No. Anzi, mi scusi se le sto raccontando tutto questo, lei è una perfetta sconosciuta, ma mi andava di sfogarmi.

– Mamma, non annoiamo la signora. Velia, mi dispiace per suo marito. La torta è buonissima, fragrante, veramente squisita. Può dare la ricetta a mia madre?

– Ah sì, ci manca anche che mi metta a far dolci, con quello che ho da fare! - rispose in maniera brusca la donna, che aveva le lacrime agli occhi. Sì alzò di scatto e in quel momento squillò il telefono.

– Velia, le dispiace? - le chiese l’uomo, indicando il telefono.

Velia si alzò, sorridente e andò verso il mobile. Il suo sguardo si spostò sulla destra, verso la vetrina di quell’ingombrante soggiorno. Una cornice d’argento, ben lucidata, faceva bella mostra di sé. La foto era vivida, di ottima qualità. Ritraeva Roberto, con una casula finemente ricamata, mentre sollevava l’Ostia: intorno a lui, due sacerdoti anziani e sullo sfondo, un coro. L’uomo aveva il volto radioso, sereno, i capelli erano corti, grigi e tutto in lui irradiava gioia.

Velia prese il telefono e stupita, lo portò a Roberto.

Lui la guardò, sorridendo con amarezza.

– Sì Velia, sono io, mentre celebro la mia prima messa. Ero un sacerdote.

 

San Francesco. 11

Velia era andata via turbata da quella casa. Aveva passato il resto della serata a lavorare e mentre mangiava, rifletteva sulla vita di quella famiglia. Non doveva essere stato facile per la signora Maria allevare un figlio da sola, senza l’aiuto del marito, ingannata e tradita dall’uomo che amava. E quel figlio malato, con un passato da sacerdote…Velia non aveva fatto ulteriori domande, era andata via da casa, con un semplice “capisco”. Salutò Roberto, che la invitò a tornarlo a trovare ed uscì. L’uomo aveva chiamato la madre ma la donna non aveva risposto. Velia rispettò quella decisione, provando una infinita tenerezza e compassione per  lei e tornò a casa. Il giorno dopo si concesse un’abbondante colazione al bar: marzo stava finendo e l’aria si andava riscaldando. Velia decise di fare una passeggiata fino alla Chiesa di san Francesco. Padre Romolo aveva ragione: era meravigliosa. Velia guardò estasiata l’intero complesso e prese fiato per salire la monumentale scalinata che portava alla chiesa.

“Sandro, amore mio, come vorrei che tu fossi qui con me” , pensò tristemente la donna, ricacciando indietro le lacrime.

In quel momento si sentì tirare i pantaloni: era una bambina con un paio di infradito, una felpa nera e un paio di pantaloni rosa, che dovevano avere avuto molti lavaggi. La madre, o quella che lei supponeva fosse la madre, le chiese dei soldi, allungando la mano.

Una signora, mentre passava, le disse: – Lasci stare signora, non dia loro niente. Ce li hanno i soldi, hanno oro e macchine lunghe. Non dia soldi, sennò si abituano! - E tirò dritta, soddisfatta di aver compiuto la sua buona azione quotidiana. Velia prese un euro e lo diede alla bambina.

– Quanti anni hai, piccola?

La bimba si nascose dietro la gonna della madre.

– Ne ha 6 signora, sei anni. Li compie oggi.

– Allora, buon compleanno! Signora, sua figlia non va a scuola?

La donna, pesante, con lunghi capelli neri legati con un elastico, la gonna a fiori e una casacca bianca, scosse la testa.

– Non vuole, si vergogna.

– Signora, se lei non la manda a scuola, sua figlia, quando crescerà, sarà costretta a fare quello che fa lei. Se ne rende conto? Non potrà avere un lavoro, una casa, una vita diversa. Lo capisce?

– Signora, in Italia non ci sono Rom che fanno i dottori. Noi siamo così.

Velia tacque. Era inutile parlare.

– Facciamo così. Per festeggiare il tuo compleanno, andiamo a mangiare una bella torta. Va bene?

La donna scosse la testa.

– No, no, signora, non fa niente. Solo soldi, per favore.

– Andiamo, entrerà con me. Come ti chiami, piccola?

– Ramiza.

– Ma che bel nome? Di dove siete? Originari, intendo.

– Bosnia, vicino Sarajevo.

Arrivarono nel frattempo in una pasticceria ben fornita ed arredata, con servizio ai tavoli.

La proprietaria rimase sconcertata quando vide entrare la strana comitiva.

La signora Rom, con il bimbo in braccio che dormiva, la piccola e lei, erano un gruppo decisamente insolito.

– Buon giorno signora, vorrei una torta piccola, diciamo….6 porzioni

– Sì. La porta via? Vuole una scritta? Una candelina? E’ un compleanno?

– Sì. Per favore, scriva, con del cioccolato Auguri Ramiza. Poi metta il numero 6. E… no, la mangiamo ora. Grazie. Noi intanto ci sediamo.

La bimba era euforica e guardava le torte e i dolci esposti nel banco.

La signora guardò stupita Velia, poi prese una piccola mimosa, già pronta, esposta nella vetrina e si ritirò in laboratorio .

Velia e la donna si sedettero, insieme ai figli. Poco dopo, la donna ritornò con la candelina accesa: Velia fece soffiare la candelina alla bimba, facendole esprimere un desiderio e tagliò la torta, mangiando insieme a loro. La gente che entrava guardava lo strano gruppetto, mentre la proprietaria alzava le spalle sorridendo. Infine Velia  fece mettere in una scatola  le porzioni che restavano e le diede alla donna, dicendole che poteva portarle via con sé.

– Piccola, mi raccomando: vai a scuola, studia, cambia vita. La prego signora, la faccia studiare. Aiutate i vostri figli a cambiare il loro futuro.

La donna abbassò la testa, la ringraziò, prese il dolce  e se ne andò.

Velia tornò verso la chiesa di san Francesco, chiedendosi se un Rom, in Italia, sarebbe mai diventato pediatra o avvocato, visto che ogni bambino sembrava destinato, o meglio condannato, a calcare le orme della famiglia.

Fece un grande respiro e cominciò a salire la scalinata che la portava alla chiesa di San Francesco. Ricordò con tenerezza, sorridendo fra sé e sé, quando aveva risalito la scalinata della Grotta del Turco, con Gesù che le teneva la mano.

Qui San Francesco di Assisi, nel 1222 fondò un convento e risuscitò un operaio, morto schiacciato da un masso: la chiesa era in  stile gotico, imponente, grandiosa e dominava il golfo e la città di Gaeta. Velia rimase colpita ed estasiata da quella meravigliosa costruzione. Arrivata in cima alla scalinata, si fermò ad ammirare il paesaggio. E come sperava, Lui arrivò.

L’emozione era tanta, nel vederlo: gli sorrise e Lui le accarezzò la testa.

– Non è meraviglioso questo spettacolo, Velia?

– Sì. Il  creato, la natura, tutto è meraviglioso. Ieri ho conosciuto Roberto e la madre.

– Sono felice. Hai saputo cogliere il segno che ti ho mandato, facendo la torta. Brava.

– Ero sicura che c’entrassi tu.

– Hai già fatto un piccolo miracolo, Velia.

– Quale?

– Maria non aveva mai versato una lacrima sapendo della morte del marito. Mai. Ha acculumato per tutti questi anni rabbia e delusione, un cancro micidiale che uccide l’anima. E ieri, per la prima volta, ha pianto. Grazie a te.

– Io non so, è tutto così strano.

– Non è strano Velia. Cambia il tuo modo di pensare. E’ straordinario, quello sì, ma nell’ordinario. Hai fatto una torta, un gesto semplicissimo, se ci pensi. Sei andata a casa loro, si sono aperti, specialmente lei. Per lui devi aspettare, ma sarebbe meglio parlarci quando non c’è la madre, si aprirà di più. Proponigli una passeggiata, lo spingerai tu con la sedia a rotelle, vedrai che pian piano ti racconterà tutto della sua vita. Deve capire se stesso, deve perdonarsi.

– Perdonarsi per aver lasciato il sacerdozio?

– Non solo. Ci sono tanti problemi, Velia. Vedi, l’Amore è perdono continuo, infinito. La più grande difficoltà, con gli essere umani, è perdonarsi. La maggior parte di voi , purtroppo stenta a credere che Dio è puro Amore, ti perdona ma ti corregge. Ci sono anime, che si portano dietro sensi di colpa e rabbia nei confronti di sé stessi e cercano di affogare questa durezza nei propri confronti in duemila attività, oppure rinunciando a sognare, a vivere con gioia la propria vita. Credimi Velia, è più difficile perdonarsi che perdonare.

– Io mi sono sentita in colpa, per la morte di Sandro, ma credo che tu lo sappia.

– Lo so Velia. Uno dei motivi principali per cui dopo la morte di un coniuge molte volte si ammala anche l’altro, è proprio questo. La persona si sente in colpa, per non essere stata in grado di curare a dovere il proprio coniuge, o parente, o amico….Si sente in colpa per essere ancora viva. E si ammala. Se le persone, perlomeno quelle che si dicono cristiane, affidassero a me questi sentimenti negativi, appendendoli sulla croce, insieme a me, io li prenderei, li trasformerei. Purtroppo, avviene raramente. Supera questo senso di colpa, Velia. L’anima che vive così, perde la sua luce .

Velia lo guardò negli occhi e chinò il capo.

– Dimmi che la bambina di stamattina andrà a scuola, studierà. Ti prego, dammi una piccola speranza!

– Velia, tu hai dato una cosa preziosa, a quella bambina. Il ricordo di un giorno memorabile. Lo ricorderà per sempre. Ed hai dato loro una visione per il futuro. Grazie alle tue parole, comincerà a vedersi in maniera diversa, come parte di questa società, come persona che lavora, amici, divertimenti e non come reietta. Questo è tanto, credimi Velia. La madre è rassegnata a vivere questa vita. Ma hai messo in lei un seme di speranza, che avrà solo lei però, non suo marito. Sarà dura. E purtroppo ho poche persone su cui contare, per aiutarla. Ma nulla è impossibile, nulla. Stai serena, quella bambina è in buone mani.

– Chi sono gli altri inquilini? Puoi anticiparmi qualcosa? Puoi farmi vedere i miei genitori? Sandro?

– Velia, ascoltami. Gli altri inquilini li conoscerai man mano, non preoccuparti. No, non voglio farti vedere niente e nessuno. Tu sei qui, ora, in questa realtà. Fidati. Tu vorresti tornare nel ventre di tua madre, nel liquido amniotico? Rispondi!

– No, è questa la mia vita.

– Appunto. Lasciali lì, dove sono. Ti amano, e l’amore non ha barriere. Credimi. Spazio e tempo sono dimensioni che di là non esistono. Tu sei qui, ora, in questa realtà. Vivi ogni giorno come un dono e non ti preoccupare per loro. Hai una missione da compiere. Vai dentro a visitare la chiesa, ora. Sarai stupita, conosco il tuo amore per l’arte.

– Non andartene. Ho tante cose da chiederti.

– Abbiamo tutta l’eternità, Velia.

Scese dalle scale e si diresse verso il centro della città.

Velia lo seguì con lo sguardo e poi entrò in chiesa. Si rese conto ancora una volta, che essere innamorati di Cristo, non voleva dire amare una religione, ma amare e seguire una persona. Lui. E si ricordò questo mentre fotografava la statua della Religione, posta dinanzi alla chiesa.

 

Bambini 12

Velia era emozionata: sua zia Rachele sarebbe venuta per il fine settimana e non vedeva l’ora di riabbracciarla. Avrebbe voluto parlarle della sua nuova vita, ma non l’avrebbe fatto, perché era sicura che sua zia non l’avrebbe capita.

Era incredibile come era cambiata nel giro di pochi mesi: la malattia di Sandro, la morte, il viaggio in Terra Santa e poi quell’incontro..

Ora si ritrovava in una città nuova per lei, anche se non completamente, senza amicizie né conoscenze, se non quell’unico essere che le stava riempiendo il cuore di un Amore particolare, che stava dando un senso alla sua vita. Avrebbe voluto parlare con padre Romolo, ma sentiva nel profondo del cuore che i loro cammini dovevano restare separati.

Avrebbe voluto tornare a visitare Roberto e sua madre, ma decise di far passare qualche giorno: era giunto il momento di fare conoscenza con l’inquilina del suo stesso pianerottolo. Sapeva che l’appartamento era abitato da una mamma con una bambina e decise allora di preparare dei dolcetti, sempre con farina di riso, a forma di cuore. In quel momento le squillò il cellulare: era sua zia Rachele che voleva capire bene come arrivare a Gaeta. Mentre Velia le stava rammentando che doveva scendere alla stazione di Formia e lei sarebbe venuta a prenderla con l’automobile, suonò il campanello: Velia, con il cellulare in mano, aprì’ la porta e vide, con stupore, una bambina bionda, di circa sette, otto anni al massimo, vestita con una tuta da ginnastica rosa, una coda trattenuta da un elastico dello stesso colore della tuta e uno splendido paio di occhi verdi, che la guardavano stupita. Teneva un foglio piegato in mano e appena vide Velia, sorrise e abbassò lo sguardo.

– Scusa zia, ho delle visite, ci sentiamo dopo! Ciao! E tu chi sei?

La bambina sorrise e non rispose. Abbassò di nuovo lo sguardo e le diede il foglio che teneva nella mano destra. Velia lo aprì e vide un meraviglioso cuore rosso, disegnato e colorato con cura.

– E’ per me? Che dolce che sei, grazie!! Ma sei da sola?

Come risposta alla sua domanda, una voce acuta risuonò dall’appartamento della bambina.

– Florentina!!!! Dove sei?

Una signora con i capelli corti, scuri, a caschetto, il viso aperto e simpatico, si affacciò sulla porta: si asciugò le mani con il canovaccio che teneva sul braccio, e la salutò:

– Mi scusi signora, mi scusi, è da quando l’ha vista che vuole darle il disegno che ha fatto per lei, ma le ho detto che saremmo andate insieme! Florentina, perché hai disobbedito! Ti ho detto di aspettare la mamma!!

– Non si preoccupi signora, mi chiamo Velia, è un piacere per me conoscervi. Accomodatevi, vi offro qualcosa.

– Mi scusi, è che ho il sugo sul fuoco, non vorrei si bruciasse. Venga lei, mi farà piacere, e anche a mia figlia!

– Non vorrei disturbarla.

– Ma no, nessun disturbo, non ricevo mai visite, venga!

Velia entrò, dopo aver chiuso la porta di casa sua, nell’appartamento della signora. Era molto più piccolo del suo e arredato in maniera semplice, ma con gusto. La signora la fece accomodare in cucina e mise su il caffè.

– Io mi chiamo Raluca, sono romena, abito qui da un paio di anni.

– Avete due nomi bellissimi, Raluca e Florentina. Veramente belli .

La bimba tornò dalla sua cameretta con i disegni fatti a scuola e li mostrò a Velia.

– Sono stupita,  Velia.

– Di cosa? Dammi del tu, per favore.

– Beh, Florentina è una bambina molto chiusa, difficilmente dà confidenza. E’ la prima volta che la vedo aprirsi con qualcuno, che non sia io o la maestra.

– Ah. E’ timida, evidentemente.

Non sapeva perché, ma sentiva in quel momento la forte presenza di Gesù accanto a lei.

Raluca fece un sospirò, servì il caffè a Velia e si sedette, con le lacrime agli occhi.

– Florentina non parla, Velia. Non parla da quando aveva tre anni.

– Mi dispiace. Cosa è successo?

– Non voglio annoiarla con le mie storie.

– Non preoccuparti. Dammi del tu, per favore. E’ autistica?

– No. Io abitavo a Milano, quando sono venuta in Italia per lavoro. E….insomma, lì ho conosciuto il padre di Florentina.

Gli occhi le si riempirono di lacrime.

– Vede, era un ragazzo meraviglioso. Educato, dolce, gentile. E sopratutto italiano. Per me era un sogno. Appena arrivata, su invito di mia cugina, avevo trovato lavoro e amore. Non potevo chiedere di meglio. Il mio ragazzo lavorava in un albergo, come receptionist, faceva i turni e io entrai in albergo come cameriera ai piani. Mi propose di andare a vivere con lui e ovviamente accettai. Quando mi accorsi di essere incinta la mia gioia era ancora più grande..Ma fu lì, che lui cambiò.

Velia sorseggiava con cura il caffè, guardando la donna che sofferente, cercava spazio tra i ricordi del dolore.

– Cominciò a diventare violento, a bere, ad alzare le mani, a bestemmiare. Un’altra persona. A volte mi prendeva a schiaffi senza nessun motivo, per poi pentirsi subito dopo, abbracciarmi, mettersi in ginocchi chiedendomi perdono e riempiendo di baci il ventre. Parlai con la madre e il padre, che risiedevano a Milano, ma mi dissero che dovevo avere pazienza, perché il figlio aveva avuto un esaurimento nervoso, si stava riprendendo, ed io con quella gravidanza, gli avevo sconvolto la vita! Era colpa mia dunque. Capisce che famiglia?

Velia annuì, non voleva interrompere il racconto della donna.

– Quando nacque Florentina, andò tutto meglio, ma dopo tre mesi dalla nascita, le sue crisi ricominciarono: non sopportava la bambina, non sopportava le sue lacrime, i pannolini, nulla. Non sapevo cosa fare. Andai a vivere da mia cugina, ma lui mi supplicò di tornare a casa. Lasciai la bimba al nido e ricominciai a lavorare. Le condizioni del mio compagno erano instabili, anche se era più affettuoso. Finché purtroppo rimasi di nuovo incinta. Gli volevo bene, ma avevo paura di lui.. Quando glielo dissi, ancora me lo ricordo come se fosse ora, fece un sorriso strano.

Mi disse che ce l’avevo fatta a rovinargli la vita, finalmente, che i suoi genitori avevano ragione, di stare attento a me. A me, capisci Velia? Lui doveva stare attento a me! Io feci l’errore di rispondergli. Gli dissi che ero felice di quella gravidanza.

Florentina era sulla porta della sua cameretta. Aveva tre anni. Lui mi riempì di botte, e lei assistette alla scena. Ricordo il dolore, non tanto quello fisico, ma quello di sapere che mia figlia stava assistendo alla scena. Aveva l’orsacchiotto che le aveva regalato mia madre in mano. Lui uscì di casa, come una belva soddisfatta ed io, dolorante, presi la bimba e la portai da mia cugina. Mi accompagnarono in ospedale, ma non lo denunciai. Dissi che ero caduta dalle scale. Persi il bambino e così decisi di trasferirmi il più lontano possbile da lui e da Milano.”

Velia le strinse la mano.

– Da quel giorno, Florentina  non ha più parlato.

– Non hai più rivisto il padre?

– No. Non mi ha più cercata, grazie a Dio. Ho paura, a volte, di vedermelo davanti, ma spero e prego che non accada mai. Sono sicura che per lui sia stato un sollievo vederci sparire.

– Mi dispiace, Raluca. Deve essere stata dura.

. Oh, neanche immagini. Io lavoro la mattina,  dalle otto alle due di pomeriggio. Florentina fa il tempo pieno, ed esce alle quattro. Guadagno seicento euro al mese, sono in regola, ma pago quattrocento euro di affitto.Tu capisci che ho dovuto trovarmi un altro lavoro. Il pomeriggio dalle tre alle sei faccio la badante ad una signora anziana, molto brava. Sono tutti bravi. E lì guadagno altre trecento euro al mese. Per stare bene, tranquilla, dovrei lavorare anche la sera. Tolto l’affitto mi rimangono  cinquecento euro al mese, ed è dura mangiare, pagare le bollette, vestirsi. Si sopravvive.

– No, Raluca, basta. Non puoi lavorare così tanto, devi pensare alla bimba. Con chi rimane quando lavori il pomeriggio?

– A volte me la porto, altre volte la porto da un’amica, che ha una figlia della sua età. Purtroppo non parla e non fa amicizia facilmente, le altre bambine non vogliono giocare con lei.

– Cosa dicono i medici?

– Lo choc, il trauma. Non ci sono lesioni, o altro. E’ stato un fattore emotivo, tutto qua. Scusami, ti ho angosciata con il mio racconto.

– Non preoccuparti, avevi bisogno di sfogarti. Stai tranquilla. Sono felice di esserti stata di aiuto, anche solo ascoltandoti. 

– Te ne ho parlato, perché è accaduto questo miracolo. Mia figlia ha fatto un disegno per te! Ti ha cercata, ha cercato di comunicare con te, è venuta a suonare alla tua porta. Credimi, è incredibile. Mi tirava sempre verso la tua porta. La signora Maria, del piano terra, mi ha detto che sei una persona che sa ascoltare, che sei molto dolce ed è vero!

– Diciamo che ho sofferto abbastanza per riconoscere e cercare di capire le sofferenze degli altri,  - le rispose Velia, sorridendole e le raccontò brevemente delle sue vicende personali, la morte dei suoi genitori e quella di Sandro.

– Raluca, io ti ringrazio per questo caffè, la chiacchierata, per tutto! Vado a casa, domani viene mia zia e devo organizzarmi. Grazie a te, Florentina, per questo tuo bel disegno, voglio incorniciarlo e metterlo nella mia cameretta. Facciamo una cosa, Raluca. Domani sera siete invitate a cena da me, va bene? Vi aspetto!

– Ma non devi disturbarti, Velia!

– Nessun disturbo, sarà un piacere. Consocerete mia zia Rachele, è una persona in gamba! Vi aspetto per le 7.30.

Florentina abbracciò Velia, posando la sua testa sul suo grembo. Raluca spalancò gli occhi per lo stupore, per quel gesto di affetto inaspettato e fissò Velia negli occhi, ringraziandola con un uno sguardo di riconoscenza. Poi la bambina si gettò fra le braccia della madre e Velia andò via, contenta di essere riuscita a far breccia nel cuore della bambina, anche se temette, solo per un attimo, di aver suscitato la gelosia della donna. Non sapeva cosa significasse essere madre, ma era sicura si trattasse di un sentimento così profondo e viscerale, che poteva far nascere il timore che qualcuno si potesse impadronire dell’amore dell’altro, ma sapeva che non ci si appropria dell’amore, lo si vive e basta. E lei, quel pomeriggio, di amore, ne aveva sentito tanto.

Sapeva di chi era il merito, aveva sentito la sua presenza fin da quando era entrata nella casa della donna e si chiedeva quali miracoli speciali avesse in mente per loro Gesù.

 

Subbuglio 13

L’arrivo della zia Rachele la rese particolarmente felice. Era invecchiata negli ultimi tempi, ma manteneva quel piglio sicuro e calmo, che l’aveva sempre tranquillizzata nei periodi di tempesta. Indossava un tailleur marrone scuro e aveva cambiato la montatura dei suoi occhiali. I suoi capelli corti, castani, folti, la sua voce forte e decisa erano una sorta di porto per lei e vederla con quell’espressione stanca non le fece certo piacere.

– Dio mio, Velia, che aria meravigliosa! Che mare, che panorama! Ora capisco la tua decisione. Andiamo, non vedo l’ora di rivedere Gaeta. Non ne ho un gran ricordo, purtroppo, sia perché è passato tanto tempo, sia perché quel giorno pensavo a tutt’altro che ai monumenti.

Velia aveva preferito prendere un taxi e godersi il viaggio con la zia.

Il taxista, di Gaeta, chiacchierò simpaticamente con loro, spiegando per sommi capi la storia della città.

Rachele teneva la mano della nipote, con dolcezza: le era mancata e si era pentita di non aver accettato la sua richiesta di trasferirsi con lei, anche se era sicura fosse la scelta migliore.

– Signora mia, creda a me, il lungomare, la sera si riempie di macchine. Un caos! Fanno avanti e indietro, sono giovani, per carità, ma non si può vivere. E’ meglio gustarsela quando non ci sono i turisti.

Rachele sorrise e quando arrivarono a casa di Velia, non poté non complimentarsi della scelta della nipote, sia per la casa che per la città.

– Velia, non ero felice che tu fossi venuta a vivere qui, per via dei ricordi, ma devo dire che il tuo appartamento è delizioso! Ti sei andata a prendere un appartamento nella Gaeta medievale! Mi peserà andarmene da qui, sai?

Velia le parlò dei vicini, del lavoro e omise ovviamente gli incontri con Gesù.

– Zia, stasera avremo ospiti a cena, una mamma con la figlia. Ha un passato travagliato, di violenze domestiche da parte del compagno e la bimba purtroppo ha assistito ad una scena particolarmente dura. Da quel giorno non parla. Ma è dolcissima, vedrai.

– Mi dispiace, povera ragazza e povera bambina. Quanto male c’è nel mondo, tesoro mio.

Parlarono di tante cose e cominciarono a preparare la cena: Rachele aveva portato a Velia un quadro stampato su tela da una foto, di Gerusalemme, dono che Velia apprezzò molto.

– Ti porto i saluti di padre Romolo, ti manda un abbraccio e ti ricorda che sei sempre nelle sue preghiere!

– Grazie zia, è un sacerdote fantastico. Domani ti porto al Santuario della Montagna Spaccata, vedrai che meraviglia. Ma adesso pensiamo alla cena, vuoi aiutarmi o sei stanca?

– Figurati, sto benissimo, tranquilla.

Verso le 19.30 venne Raluca con Florentina. La donna aveva preparato un dolce romeno  e Florentina un bellissimo disegno che ritraeva Velia. Rachele si innamorò subito della bambina e di sua madre, trovandole due persone deliziose. Velia raccontò a Raluca del suo viaggio in Romania e la donna si commosse quando seppe che la coppia aveva soggiornato nella sua città natale.

Nel corso della serata, parlarono di vari argomenti e Raluca evitò accuratamente riferimenti personali.

– Raluca, tesoro, ma non c’è nessun uomo nella tua vita? Sei così carina, intelligente!

Velia si irrigidì per la domanda personale  che sapeva toccare tasti dolorosi per la donna e si chiese mentalmente cose stesse succedendo a sua zia, in genere molto riservata, ma vide con sorpresa Raluca arrossire, come se la domanda in qualche modo avesse toccato un tasto dolente, al di là della vicenda personale con il padre della bambina.

– No, signora, io devo pensare a lavorare e a mia figlia. Poi, non mi fido degli uomini. Non più almeno.

Un’ombra di tristezza passò sul volto di Raluca e Velia sentiva che c’era qualcosa che la donna non le aveva detto.

– Peccato, mia cara. Sa, sono sicura che un nuovo amore le avrebbe fatto bene!

Velia stava per cambiare argomento, quando le urla del piano di sopra interruppero la conversazione.

– Di nuovo, ricominciano! fece Raluca, scuotendo la testa.

– Che succede, mie care? - fece Rachele, preoccupata.

– Sono le due sorelle del piano di sopra. Ogni tanto litigano, sono un po’ strane, particolari.

Le urla aumentarono e Florentina si strinse spaventata alla mamma, turandosi le orecchie con le mani.

– Se non ti piace quello che faccio, vattene!!! Capito?? Ipocrita!! Vattene!!!

– Mi ammazzo!! Mi ammazzo!!!! Guarda!!!!!

A queste parole Velia fu costretta ad affacciarsi per vedere cosa stesse succedendo.

Una donna, sui trent’ani, stava risalendo le scale di corsa, mentre una ragazza, affacciata alla scalinata del pianerottolo, teneva una lametta in mano, mentre minacciava di tagliarsi le vene.

Velia corse su e cercò di trattenere la ragazza, che aveva una forza incredibile, nonostante la sua corporatura esile.

– Lasciami tu!!! Che cosa vuoi!??? Vattene!! Voglio morire, vi prego, voglio morire!!!

La porta di fronte al loro appartamento si spalancò e ne uscì un uomo sui 50 anni, con i capelli brizzolati e un paio di occhiali da vista.

– Non è possibile continuare così. Io chiamo i carabinieri!

– Chiamali!!- fece in tono di sfida la donna, guardandolo con odio.

– Dovete far ricoverare questa ragazza, dovete aiutarla! E’ così che succedono le tragedie familiari, facendo finta di niente!

Una donna, con i capelli raccolti da una coda, magra, scattosa,  raggiunse il marito, sulla porta di casa:

– Tesoro, per favore. Lascia che se la sbrighino da sole. Non impicciarti.

L’uomo impallidì quando vide che la ragazza aveva in mano una lametta.

Velia prese la mano della ragazza e le disse:

– Ascoltami, se vuoi, entro dentro con te e parliamo, d’accordo?

– Signora, - fece la donna dell’altro appartamento, - lasci stare, non si immischi, accetti il mio consiglio.

Velia la ignorò e l’uomo rientrò con la moglie, sbattendo la porta, irato.

– Io voglio solo morire, capisci? Per smettere di soffrire. Chi sei tu, che vuoi? Chi ti conosce?

La sorella, che nel frattempo le aveva tolto la lametta, la riaccompagnò dentro casa.

– Grazie per il suo aiuto, ci penso io, ora. Tanto ormai la serata è rovinata. Grazie.

 

Velia guardò la donna: aveva uno sguardo duro e spento allo stesso tempo. I capelli neri, pesanti, incorniciavano un volto quadrato, volitivo, con due grandi orecchini a cerchio dorati, mentre la sorella, più giovane, aveva un viso ovale, molto pallido, con capelli rossicci, lisci e uno sguardo impaurito. Due occhiaie profonde e scure le solcavano il viso, dandole un’aria spettrale. Velia invece rimase stupita dei lampi di odio oscuro che lampeggiavano dalla sorella maggiore. Ebbe un brivido di paura: percepì una forza densa, minacciosa, dentro quello sguardo, ma non riusciva a spiegarsene il motivo.

– Ascoltami, se hai bisogno di aiuto, io sono la nuova inquilina, abito al piano di sotto, sai dove trovarmi, ok?

– Sì, sì, grazie, ora vada, non si preoccupi.

 La donna la congedò sorridendo, ma a Velia parve un ghigno beffardo. Scosse la testa pensierosa e tornò nel suo appartamento con le sue ospiti, che nel frattempo si erano affacciate sull’uscio.

– Tesoro mio, ma che succede?

– Non conoscevo gli altri inquilini, ma a quanto pare, ho rimediato subito,  - rispose Velia, ironicamente.

– La bambina si è spaventata, Raluca?

– Non si preoccupi, Rachele, siamo abituate a queste scene. Hanno molti problemi, litigano spesso.

– Mi dispiace. Più che un litigio, era un tentativo di suicidio, - fece Velia, preoccupata.

– Oh, anche quello succede spesso, specie negli ultimi tempi.Ognuno purtroppo ha i suoi problemi.

– Ma chi sono? -chiese Rachele, ormai incuriosita.

Raluca sospirò e scosse la testa.

– Sono due sorelle, la più grande ha trent’anni, la piccola ne ha 22 . Non sono di Gaeta, non so bene di preciso da dove vengano. Lei, la ragazza, non lavora, sta sempre in casa. La grande fa un lavoro particolare, ho sentito dire.

– Particolare? In che senso particolare?  - incalzò Rachele.

– Ecco, sembra che lavori in un centro per maghi,  fa la cartomante, lavora in un centralino ma ha anche uno studio dove riceve le persone. Sa, questi programmi televisivi, dove si telefona e si parla con i maghi? Insomma, lei risponde al telefono, legge le carte, prepara talismani, dà i numeri al lotto, cose così. Ho sentito dire una volta dalla padrona di casa, la signora che lei ha visto sopra, che è anche la proprietaria dell’appartamento in cui vivo io, che avrebbe voluto far venire i clienti a casa, per risparmiare i soldi dell’affitto dello studio, ma lei ovviamente non ha voluto. Immaginate che via vai sarebbe stato?

Velia sentì un brivido interiore di paura ed ascoltò la donna, mentre parlava delle sue coinquiline.

– Insomma, sembra che la sorella minore odi questo lavoro e vorrebbe andarsene, ma è molto fragile. Ha interrotto gli studi, non lavora e gira voce che si guadagnasse da vivere prostituendosi, non per strada, ma nelle case. Una situazione difficile. E purtroppo litigano spesso e la ragazza minaccia il suicidio. Ultimamente lei è sempre più pallida, depressa. Non risponde neppure ai saluti.

– Dio mio, quanta sofferenza c’è nel mondo!- fece Rachele, scuotendo la testa, con un senso di profonda commiserazione negli occhi.

– Scusa, Raluca, ma che tu sappia, la giovane ha problemi di depressione? Non so, è seguita da qualcuno, prende dei farmaci? Mi sembra davvero bisognosa di aiuto! -chiese Velia, preoccupata.

– Guarda Velia, sono molto riservate. Non credo sia seguita da qualcuno. I vicini non le vogliono più e sperano che se ne vadano al più presto.

– Li ho visti. Erano abbastanza arrabbiati più che preoccupati. Sono una coppia sola?

– No, no, hanno un figlio. Lui lavora in banca, lei è casalinga, ha questi due appartamenti affittati, oltre ad un terzo che affitta stagionalmente ai turisti, che si trova lungo il Serapo. Sta bene insomma. Hanno un figlio di 25 anni, che si è laureato da poco. Un bravo ragazzo. Una famiglia normale. Già…mi chiedo che cosa significhi normale !- continuò Raluca, come parlando a sé stessa, guardando nel vuoto.

– Bene,- fece Rachele di scatto, alzandosi sorridendo – io sono felice di essere qui e sono felice che di fronte all’appartamento di mia nipote, abiti una bambina così bella, con un nome adorabile!! Florentina, Florentina, dolce, buona….e birichina!! Ti piace la mia rima tesoro??

La bambina accennò un sorriso e la tensione si sciolse.

– Devo fare un annuncio importante, ragazze! Ci siete? Mi sentite?- disse Rachele alzandosi in piedi e cambiando il tono di voce. Era una donna che aveva un forte senso teatrale: molte volte, per far divertire Velia e farle superare il ricordo di quel tragico giorno , si alzava in piedi e cominciava a fare i suoi proclami, con voce altisonante, prendendo una scopa e battendola sul pavimento per attirare la sua attenzione. Velia rideva tantissimo nel vedere sua zia comportarsi in questo modo, ed ora era sicura che anche Florentina si sarebbe divertita.

Rachele si schiarì la voce e cominciò il suo proclamo:

– Udite udite, io, donna Rachele, dichiaro quanto segue: da oggi in poi, nomino Florentina mia nipote speciale. Da ciò ne consegue che: riceverà dalla sua zia adottiva, cioè me medesima, regali al compleanno, a Natale, a Pasqua e ogni volta che mi verrà in mente di farli! La decisione è stata presa e nessuno può tornare indietro!

 Velia e Raluca, stando al gioco, batterono le mani rumorosamente e Florentina sorrideva felice, stringendosi alla madre e mordendosi il labbro inferiore in segno di gioia. Raluca aveva gli occhi umidi e le tremava la voce per l’emozione. Nessuno mai aveva dato loro così tante attenzioni e riceverle da due perfette sconosciute le stava aprendo il cuore ad una nuova speranza, quella che non tutti gli esseri umani si disinteressano dei propri simili. Quelle due donne, semplici e buone, ne erano la prova.

Dopo la cena, la donna con sua figlia tornarono nel loro appartamento e Rachele andò a letto, stanca ma anche preoccupata per quella lite che aveva sentito sul pianerottolo e quel tentativo di suicidio.

Velia si sdraiò, con lo sguardo fisso al soffitto.

“Gesù, ma dove mi hai mandato?” pensò, rivolgendosi mentalmente a lui.

E con quel pensiero si addormentò, senza sapere che la sua risposta non si sarebbe fatta attendere.

 

14 Preghiere

Una figura luminosa cominciò a materializzarsi davanti a lei, se di materia si poteva parlare.

Sembrava avesse la sua stessa statura, ma si rese conto che la creatura era leggermente più bassa e più magra.

I capelli erano di un bianco innaturale, vivido: il viso era dolcissimo e molto luminoso, le labbra perennemente sorridenti. Le mani, piccole, minute, erano giunte in preghiera, mentre una specie di veste bianca, lunga fino ai piedi, rivestiva quella figura luminosa.

– Vieni, Velia! - le disse, con un sussurro.

– Chi sei?!!

– Non temere, Velia. Sono il tuo angelo custode, ho avuto il permesso di mostrarmi a te. Dammi la mano.

Velia rimase stupita: sapeva, come le era stato insegnato, che abbiamo tutti un angelo custode, ma non pensava potessero essere così belli.

– Dove dobbiamo andare?

-Ti porterò a vedere il mondo come lo vediamo noi angeli.

– Ma ci sarà anche Gesù?

L’angelo sorrise e chinò il capo nel sentire il Suo nome.

– L’Amato mi ha chiesto di mostrartelo. Stanotte, prima di addormentarti gli hai fatto una domanda. Devi ampliare la tua visione, imparare a vedere le cose dall’Alto. Hai già avuto modo di vedere il mondo ferito dal peccato e dal male. Ora è tempo che tu veda altro. L’Amato vuole che tu veda l’effetto che ha la preghiera sull’Umanità. Vieni, dammi la mano.

Velia diede la mano a quella creatura e si stupì nel sentire in quel tocco, una dolce carezza: non era quel che si dice una consistenza pienamente carnale, sembrava più che altro una serie di piume  che le solleticavano il palmo.

Ad un tratto si sentì leggera, come se la materia non avesse più peso e si trovò librata al di sopra del pianeta terra, circondata da altri essere luminosi che volavano intorno al pianeta. Si chiese se fosse un sogno.

Vide poi il pianeta circondato da una specie di bozzolo luminoso: vi erano numerosi punti da cui emanava un fascio di luce che saliva verso l’alto e da cui partivano fasci di luce più potenti che tornavano indietro, in un continuo flusso d’amore. Altre zone erano buie, scure, non illuminate. La luce vi arrivava dall’alto, ma non riusciva a penetrare le zone nere. Altre zone avevano una luce debole, fioca, che non riceveva però nutrimento dall’alto.

– E’ bellissimo!  - esclamò Velia.

– Sì, ma non tutto. Vedi Velia, le zone di luce dove la luminosità si unisce a quella del cielo tornando sulla terra più potente di prima?

– Sì, le vedo.Cosa sono?

“Quelle sono le preghiere in armonia con il Sommo Bene, colui che Chiamamo Amore e che voi chiamate Dio.”

– Non capisco.

– Sono persone che stanno pregando secondo il suo volere, con sani propositi. Allora la richiesta è accettata, portata in alto da noi angeli e l’Amore di Dio viene sprigionato in maniera più forte, per poter tornare sulla terra e far sì che il bene chiesto dalla preghiera si realizzi..

– Quei punti in cui la luce è ancora più forte? Sono tantissimi! E’ semplicemente meraviglioso! Non capisco cosa siano.

– Velia, in quei luoghi si sta celebrando l’Eucarestia, la Santa Messa, come si chiama sulla Terra. Il momento più alto nella storia dell’Umanità, in cui l’Amato ha dato la vita per Amore e morendo, ha perdonato, donando Amore.

Velia si commosse e gli occhi le si riempirono di lacrime.

– Vedi, Velia, mia cara creatura, le preghiere che salgono dal cuore, in realtà sono state ispirate da Dio. E’ lui, sommo Amore, che mette nel cuore dei suoi figli ciò che è bene per loro. La richiesta torna al Padre, perfettamente esaudita, perché era già sua volontà che si realizzasse. Capisci? Non partono dall’uomo, ma da Dio. E Lui, aspetta che la persona capisca e realizzi ciò che è il massimo bene.Le richieste dettate dalla rabbia, dalla delusione, dalla vendetta, non vengono da Lui.

Velia si rese conto che non aveva mai pregato intensamente per la guarigione di Sandro.

-Dunque, io non ho mai pregato in maniera convinta per la guarigione di mio marito, perchè Dio non mi aveva messo nel cuore questa richiesta?

– Esatto. Nel l tuo  caso il tuo compito era un altro. Vi sono persone che potrebbero guarire, ma non riescono neanche a concepire un’idea simile, vittime dei sensi di colpa, della rabbia, della paura stessa di guarire, di migliorare la propria vita. E’ un discorso lungo e complicato, perchè l’Umanità stessa è complicata. Ti basti vedere questo, per il momento.

– E quei punti in cui la luce è debole?

– Quelle sono le preghiere non in armonia con la volontà di Dio. Sono preghiere disarmoniche, sbagliate. Non arrivano al cielo. Ad esempio, una ragazza prega che il suo ragazzo torni con lei, ma lui non la ama più. Lei prega affinché  ciò avvenga, ma non è una preghiera di amore, bensì di possesso, di egoismo, pur dettata dalla sofferenza. Lei sarà felice, tra qualche anno, con un altro uomo, ma ancora non lo sa. Se avesse fede, saprebbe che Dio ha permesso questo distacco per il loro bene, ma la sua fede è ancora immatura ed allora, in balia delle sue emozioni, prega in maniera disarmonica. Allora noi Angeli preghiamo che si rassegni e non tenti di forzare gli eventi.

– Rivolgendosi ai maghi, ad esempio? - chiese Velia, stupefatta di capire in maniera così semplice come il ricorrere a quegli espedienti fosse disastroso per l’anima umana. L’Angelo si rattristò per un attimo, abbassò lo sguardo, poi continuò la sua spiegazione.

– Vedi le zone oscure?Velia, lì non si prega. Oppure, vi regna l’odio. Dio, con i suoi angeli, cerca di farvi penetrare amore, ma la resistenza degli uomini è forte. Molto forte.

Velia sentì un’ombra di tristezza avvolgerle il cuore.

– No, Velia, sii serena, ti prego, altrimenti ti appesantirai e dovremo tornare subito. Serena, tranquilla. Guarda quanta luce si espande dall’Eucarestia!

Velia guardò meglio e quel che vide la lasciò senza parole.

In molte zone cerchi di luce concentrici si espandevano intorno ad un punto centrale, che Velia intuì essere una chiesa.

– Vedi Velia.Ogni giorno accade un piccolo miracolo d’amore nella vita delle persone. Ma la maggior parte, non attribuisce quel Miracolo alla Potenza d’Amore che si sprigiona dall’Eucarestia. Pensa sia fortuna, o altro. E ovviamente, la maggior parte di loro non ringraziano. Invece quel Bene Supremo, tocca tutti, indistintamente, cercando di riempire la loro vita d’Amore. Ma la maggior parte delle persone ha il cuore chiuso e quell’Amore non riesce ad entrare. Anche solo entrando in una chiesa, sostando un minuto solo davanti al Tabernacolo, si rimane investiti da questa potenza d’amore e le persone ne hanno dei benefici, ma sono pochi coloro che se ne rendono conto, perfino tra coloro che si dichiarano credenti. Lui aiuta tutti, indistintamente.

– Mio dolce angelo, allora il mondo si regge sull’Amore.

– Sì, Velia. Il Mondo si regge sull’Amore e l’Eucarestia ne è la massima espressione.

Velia guardò gli altri angeli, simili ma diversi tra loro, salire in cielo, più in alto, volare in basso, fino al pianeta, per poi risalire incessantemente.

– Cosa sta accadendo al nostro pianeta? Gesù mi ha parlato di fine dei tempi.

– Velia, le forze oscure stanno aumentando. Non farti troppe domande su questo. L’Amato mi ha chiesto di dirti di concentrarti sul Bene. Però stanno aumentando.Ma stanno aumentando anche le persone che credono nel potere dell’Amore. Questo è un periodo in cui l’umanità è chiamata in particolar modo a guardarsi dentro, a rinunciare al male, a guardare agli errori del passato per costruire il Regno di Dio. Altrimenti tutto, e quando dico tutto intendo anche il pianeta fisico, si ribellerà al male, con le catastrofiche conseguenze che puoi ben immaginare.  Velia, io sono con te dal tuo concepimento e sarò con te fino alla fine dei tuoi giorni. Ti prego, mantieni fermo il tuo sguardo sul bene. Non farti condizionare dal male. Mantieni lo sguardo puro, la mente sgombra da paure e ansie, è fondamentale che tu faccia questo, se vuoi aiutare le persone che hanno bisogno di te. Avrai la tentazione di giudicare, di arrabbiarti. Dovrai superarla.  Avrai nausea per le ipocrisia umane. Dovrai superarla. Ora che ti ho mostrato l’importanza della Santa Messa impegnati a parteciparvi con tutto il cuore, perché il mondo si regge sull’Eucarestia. Quello che tu hai visto è stato mostrato a pochi, santi mistici. Ritieniti fortunata, è Lui che mi ha chiesto di farlo.

Velia guardò il suo Angelo negli occhi. Sentì il suo cuore gonfiarsi a dismisura, mentre una luce forte e delicata allo stesso tempo, la avvolgeva.

Quando si svegliò, si sentiva leggera come una piuma. Guardò alla sua sinistra, alla ricerca del suo Angelo, ma vide soltanto il comodino e la tenda, che copriva ai suoi occhi l’oscurità della notte.

 

Crisi 15

Velia fece fatica ad aprire gli occhi: aveva messo la sveglia alle 7.30 perché aveva in programma di far visitare la Gaeta Medievale a sua zia, ma il sogno o la visione della notte, le avevano lasciato un profondo torpore da cui faceva fatica a svegliarsi.

Riuscì ad aprire gli occhi e a stiracchiarsi e subito si accorse dell’ ottimo profumo provenire dalla cucina: sua zia Rachele aveva preparato la torta di mele, uno dei pochi dolci che amava mangiare e un meraviglioso cappuccino con latte di riso ed orzo biologico troneggiava al centro del tavolo.

– Che bello averti qui, zia! Resta con me, ti prego!

– Non posso, tesoro mio. Non riuscirei a stare troppo lontana dalla mia casa, dalle mie abitudini. Perdonami.

 Velia tacque, perché sapeva che se avesse insistito avrebbe fatto soffrire sua zia.

Fecero colazione insieme e poi uscirono, visitando le chiese e i vicoli di Gaeta.

Il tempo era bello e si incamminarono per il Santuario della Montagna Spaccata.

A Velia si strinse il cuore, ricordandosi della prima volta che aveva incontrato Gesù nella grotta del Turco. Sua zia non si sentì di scendere le scalinate e ammirarono la Grotta dall’alto.

– Perché qui, Velia? Cosa ti ha spinto davvero a venire qui? Non so, c’è qualcosa di diverso in te, non riesco a capirlo.

– Sai perché ho scelto Gaeta. Ho sempre amato questa città, nonostante fosse legata ad un ricordo tragico.

– Appunto. Ma non so, ti vedo determinata, diversa. Ti sento come se avessi uno scopo, come se fossi al posto giusto, al momento giusto. Hai in faccia l’espressione di chi sa esattamente cosa stia facendo. Sai, la morte di Sandro è stata sicuramente un duro colpo, so quanto stai soffrendo, eppure ti vedo con le maniche rimboccate, sicura di te, pronta a chissà quali imprese. Da dove prendi questa energia, questa sicurezza? “

Velia rimase stupita nel sentirsi descrivere così da quella che in fondo, come ruolo e come legame, poteva essere considerata a tutti gli effetti sua madre. La percezione di sua zia Rachele nei suoi confronti era ben chiara e lei ovviamente non si rendeva conto del cambiamento che aveva provocato in lei quell’incontro, ma non pensava di trasmettere così tanta sicurezza, si sentiva al contrario completamente fragile, sempre insicura sul da farsi.

– Non so, Velia, da quando sei tornata dal pellegrinaggio in Terra Santa, sembra quasi che tu stia seguendo un copione. Serena e tranquilla, senza nessun ripensamento, hai deciso di vendere la casa, hai trovato subito l’acquirente, hai deciso subito dove andare ad abitare, hai trovato immediatamente la casa che faceva per te, in una palazzina antica, tu che hai sempre odiato i condomini, ed hai abitato con Sandro per anni in una villetta con giardino! E’ piacevole, per carità, sono felice per te, ma credimi, per me è insolito.

– Sarà il mio angelo custode che mi guida, che dici, zia? - sorrise Velia e sua zia spalancò gli occhi, nel sentirla parlare di un argomento spirituale.

– Oh sì, abbiamo tutti un angelo custode, è vero, ma farci guidare da lui è difficile, o da lei…chissà, se sono uomini o donne…non so.

– Secondo me, né l’uno né l’altro. Sono semplicemente angeli.

Pranzarono con dell’ottimo pesce in un delizioso ristorante di Gaeta e nel pomeriggio sua zia ripartì da Formia, dopo aver comprato un paio di tute da ginnastica a Florentina e un pigiama a sua madre.

Velia tornò a casa, triste per la partenza della donna e sprofondò a letto, ripensando al sogno, alle due sorelle che aveva conosciuto in maniera così irruenta, a Roberto, a una famiglia che non aveva mai conosciuto e a se stessa, quella falsa sicurezza che trasmetteva ma che ben sapeva a chi attribuire.

Un grande peso le si mise nel cuore e trascorse tre  giorni in uno stato pietoso, debole e affranta. Non aprì neppure la porta, accorgendosi dallo spioncino che era Raluca con la bambina. Non voleva farsi vedere in quello stato. Rimase schiacciata a letto, senza lavarsi né mangiare,  con la mente affollata da ricordi e cattivi pensieri.

Sentì il dolore per la morte di Sandro rinnovarsi, farsi più vivido che mai; sentì la mancanza dei suoi genitori, sentì pietà per tutte quelle persone che soffrivano e un soffocante senso di inutilità. Ripensò a Sandra, morta al suo fianco, sull’aereo che la riportava in Italia e a tutte le esperienze belle che aveva fatto con Sandro. Cominciò allora a piangere calde lacrime, a tremare e a sudare allo stesso tempo. Appena riusciva a smettere, si alzava per sciacquarsi il viso, bere qualcosa e sdraiatasi di nuovo a letto, ricominciava. Avrebbe voluto preparare un nuovo itinerario turistico, inserendo Gaeta, Terracina e altre località in un percorso da proporre alle Università inglesi con cui lavorava, ma non riusciva a fare niente. Dolore, paura e tristezza l’attanagliavano. Sentiva tutti i mali del mondo attorno a lei e la notte incubi spaventosi la tenevano sveglia, permettendole di dormire per poco tempo.

Finalmente riuscì ad alzarsi e come un automa, si preparò ed andò ai giardini di Gaeta, sul lungomare, respirando a pieni polmoni l’aria del mare.

Lui era lì, sulla panchina, sorridente e l’aspettava. Indossava lo stesso giubbotto con cui l’aveva visto la prima volta.

– Come va, Velia?

– Che cosa mi è successo? Perché quel sogno? E perché questa sofferenza che mi ha schiacciata?

– Il sogno era necessario Velia, affinché tu vedessi le cose da un altro punto di vista, quello spirituale. Non sei abituata a considerare la vita in questo modo ed era necessario per te. Hai preso consapevolezza di una realtà trascendente, di un reame che lavora incessantemente per il Bene.

Velia tacque, la profonda tristezza stava quasi scomparendo.

– Tu hai sempre affrontato la vita con coraggio. Sei andata avanti, ben determinata a studiare, a fare un lavoro che ami, ad avere i piedi ben piantati per terra e hai fatto bene. Anche per la morte di Sandro, ti sei preparata psicologicamente, sei rimasta forte, serena, pur nella sofferenza. Ma tutto il dolore che hai accumulato, doveva venir fuori prima o poi. Dovevi liberarti in qualche modo di quel groviglio che avevi dentro e di cui non eri consapevole e questo è stato il momento giusto. Molte persone si ammalano Velia, perché mandano giù sentimenti ed emozioni negative e molte altre si ammalano perché danno, al contrario, libero sfogo alle proprie rabbie, alle proprie frustrazioni. L’intera vita è una ricerca di questo equilibrio, ed ognuno di noi ha bisogno di morire a questo e di rinascere. Tutti hanno bisogno di risorgere e quando questo avviene, io sono lì. E’ restando ancorati alla mia resurrezione che potete emergere da una vita buia e senza senso. Ora, pensaci bene, concentrati e rispondi alla mia domanda. Cosa provi per le persone che abitano nella tua palazzina e che stai conoscendo?

– Provo una profonda compassione. Sì, provo pietà per loro. Tanta pietà.

– Bene. La compassione, le lacrime per le sofferenze degli altri, sono il segno dell’Amore Divino che sta entrando in te.

– Avrei giurato che non mi riguardassero!  

– Velia, tutto ciò che riguarda gli altri, riguarda anche noi. Quando hai visto il mondo, la luce, le ombre, hai potuto vedere che il Bene, si irradia ovunque e purtroppo anche il male. Siamo un unico corpo, Velia. E’ una realtà meravigliosa e tremenda allo stesso tempo. Tutto influisce su di noi e noi influiamo su tutto.

– Potrei dirti che capisco, ma non è vero. Sono stanca, Gesù. Stanca.

– Ascoltami, durante la settimana cerca di trovare il modo di far uscire Roberto, per una passeggiata sulla sedia a rotelle. E se puoi, passa più tempo a contatto con la natura e  in chiesa. Ti ricaricherà. Tutto lì, contribuisce alla pace dell’anima. Le candele, le immagini, tutto. L’Amore che si sprigiona dal mio Corpo, durante la Messa, rimane lì, pronto ad avvolgere chiunque vi entri. Il problema è che molti non vogliono portare quell’Amore al di fuori di quelle mura. Non è un rifugio, o meglio, non solo. E’ un ripartire ogni giorno, carichi di quell’Amore. E concentrati sul bene, abbi sempre avanti a te la visione del bene. In ogni momento. So che è difficile, ma devi farlo. Sarò con te, non preoccuparti.”.

– Tu pensi che io debba avvicinarmi di più ai Sacramenti della chiesa cattolica? Non sono una che si confessa o cose così, scusami. L’ho fatto una volta in Terra Santa, ma non è qualcosa che penso di poter fare regolarmente.  -gli disse Velia imbarazzata, abbassando lo sguardo.

Gesù guardò davanti a sé, tacendo per qualche momento. Velia sentì un pugno allo stomaco, temendo di averlo ferito. Si rese conto che era l’ultima cosa che avrebbe voluto. Rivide sua Madre, che lo accoglieva dalla Croce e lo baciava, adorante.

– Velia, allora, mettiamola sul piano del Servizio. Quando un’anima si accosta ai Sacramenti, non sta facendo un favore personale a me, si sta servendo di un’opportunità meravigliosa che viene messa a disposizione per crescere con amore, con dignità, con gioia.  In realtà sta permettendo a me di aiutarla, capisci?I Sacramenti sono delle medicine spirituali. Molte, troppe persone pensano che compiendo determinati rituali ci si appropri dell’amore di Dio, ma questo è un concetto antico, pagano, quasi che la divinità fosse un essere da placare con determinati gesti e preghiere.  Cerca di capire quello che voglio dire. IO non mi offendo, ma MI dispiace, perché so quanto potrebbe aiutarti. Sono mezzi di guarigione.

Vedi i Sacerdoti? Ecco, loro hanno deciso di dedicare tutta la loro vita a Me e ai loro fratelli. Ti hanno accolta da bambina, dandoti il segno dell’Appartenenza a me, il Battesimo. Nutrono il popolo con il mio Corpo, lo abbracciano facendo loro capire quanto siano amati e perdonati ogni volta, durante la Riconciliazione. Sono tutti mezzi meravigliosi, per coltivare l’Amore, la Pace, la Gioia nelle Anime. Capisci? Una presenza costante, affettuosa, con tutti i difetti che possono avere. Ma io, in quei momenti, sono lì, con loro. E non è il fine, ma un mezzo. Io entro davvero nella vita di quelle persone, guarisco davvero aspetti della loro vita che ne hanno bisogno, ma di cui non si rendono conto. Purtroppo tutto questo viene frainteso: sembra appartenere ad una serie di riti di cui le persone non comprendono appieno il significato, qualcosa da fare e a cui non pensare più. Un peso, una monotona abitudine, una tradizione, molte volte vuota di significato. Molte persone cercano altrove quello che io potrei dare loro completamente e gratuitamente, non mi è sempre facile aiutare gli altri. Pensa a padre Romolo. E’ stato lui a invitarti in Terra Santa e si è preso cura di Sandro, a livello spirituale. Come ti sentivi, Velia, quando entrava nella tua casa?

– Mi dava serenità, sicurezza.

– Certo, perché io ero con lui -disse Gesù, sorridendole.

– Velia, concentrati sul bene. Mi raccomando. Non farti invischiare da tutto ciò che verrai a sapere nei prossimi giorni. Mantieni la visione limpida e pulita del bene. Potresti sentirti schiacciata dalla nausea, dal giudizio, da una sorta di rancore che non ti farebbe bene. Io e il tuo angelo, ti aiuteremo.

Si alzò e se ne andò, sorridendole e abbracciandola.

Velia lo guardò allontanarsi. Ogni distacco da Lui le pesava sempre più e trascorse la giornata a gironzolare per Via Indipendenza, senza una meta ben precisa. Guardava con amore i panni stesi negli stendini che ogni tanto spuntavano fuori dai vicoli, i piccoli negozi dove poter ancora conversare con le persone. Quella città appartaneva al suo percorso di Rinascita. Ogni pietra, ogni pianta, ogni singolo edificio le toccavano il cuore parlandole un linguaggio arcaico, che sapeva di Lui.  Non capiva mai in  fondo quello che Lui le insegnava, che voleva dirle, ma sapeva che ogni sua parola era un seme piantato nel suo cuore che prima o poi sarebbe germogliato.

 

Capitolo 16

Scoperte

Non era stato facile convincere Roberto ad uscire.

Quando era entrata da loro, fu accolta affettuosamente, ma quando si propose di portar fuori l’uomo per una passeggiata, si scontrò subito con l’ostilità della madre.

– Velia, sei davvero una brava persona, veramente…Ma Roberto è delicato di salute, bastarebbe uno spiffero di aria per farlo ammalare e credimi, è l’ultima cosa di cui ha bisogno.

– Facciamo una passeggiata breve, Maria. So che sei una mamma affettuosa, ma non preoccuparti, non si ammalerà. E’ difficile per te, portarlo fuori, immagino. Me ne occupo io, tranquilla.

Roberto era imbarazzato: era evidente la sua voglia di uscire all’aria aperta, ma era preoccupato della reazione di sua madre, iperprotettiva ed ostile a qualsiasi cambiamento nella loro vita.

“Aiutami!” pregò interiormente Velia, sperando che i due si convincessero.

Roberto guardò Velia con dispiacere e riconoscenza al tempo stesso:

– Mamma, è da tanto che non esco, Velia ha ragione. L’inverno è passato ormai e una breve passeggiata non mi farà male.

Maria abbassò lo sguardo e non avendo nulla da obiettare, cedette.

– Velia, perdona mia madre. Sono ormai l’unico scopo della sua vita, non è facile per lei.

Velia sorrise, senza rispondere, prima percorrendo una breve discese, per poi trovarsi subito sul lungomare Caboto.

– Sai, Roberto, non so ancora qual è il tuo problema. Sei forse ammalato di Sla?

– Dio, come è bello il mare, il suo profumo. Grazie Velia, è tutto così bello. Sono anni che non esco.

Velia si fermò stupita e sedette su un muretto, per permettere a Roberto di gustare lo spettacolo.

– Anni? Che vuoi dire?

– Sono esattamente tre anni che non esco da casa.

– O mio Dio, Roberto!Ma che ti è successo?

– Oggi? Un miracolo. Sei riuscita a convincermi ad uscire, senza nessuno sforzo particolare.E mia madre ha ceduto quasi subito. Incredibile, già. Ma questo riguarda oggi.

-Mi riferivo al passato, Roberto - rispose Velia, sorridendo.

– Ti dispiace se evito di parlarne?

– Sinceramente, sì, mi dispiace.

Roberto respirò profondamente e guardando fisso davanti a sé, cominciò a parlare.

– Ho sempre desiderato fare il sacerdote,  e avevo le idee chiare: prete secolare, a servizio della diocesi. Come ormai già sai, non ho mai conosciuto mio padre e ringrazio Dio per aver avuto una madre forte, decisa ed amorevole. Ha sofferto per la mia decisione, sperava di diventare nonna, ma alla fine lo ha accettato. E così sono diventato prete all’età di 26 anni. Già, ben 9 anni fa. Ora ne ho 35…come è passato il tempo.

–  E poi, Roberto? Non eri felice?

– Oh, sì. Ero felicissimo. Con le donne non avevo mai avuto particolari storie, avevo avuto una fidanzatina verso i 18 anni, ma niente di serio. La mia era una vera e propria vocazione. Certo, ho iniziato come viceparroco, seguivo specialmente i gruppi giovanili e ovviamente molte ragazzine mi giravano intorno, ma con simpatia, con affetto. Non so, io non ci ho mai visto malizia, non particolarmente. Anche perchè siamo bravi a captare qualcosa di più di un semplice rapporto di amicizia e a mantenere le dovute distanze…questo ovviamente se c’è maturità affettiva. E in me, sinceramente c’era. O almeno così credevo. Avevo un amico sacerdote. Molto in gamba, devo dire la verità. Carismatico, trascinatore di giovani, contrario al celibato del sacerdozio. Criticavo la sua posizione perchè non puoi abbracciare uno stile di vita che giudichi sbagliato in partenza. Semplicemente, non diventi sacerdote, fai un’altra scelta, diventa un laico impegnato o che so io. Ma non farti prete. Era un motivo di scontro, continuo. Lo sentivo pronto ad imbarcarsi in un’avventura d’amore e così fu. Si innamorò di una ragazza molto impegnata in parrocchia, lasciò il sacerdozio ed andarono a vivere insieme. Soffrii molto per lui, ritenendolo incoerente e anche ipocrita..ma poi ho avuto modo di sperimentare in prima persona la debolezza umana.

– Non mi dire che ti sei innamorato anche tu?

– No. Sarebbe stato meglio, tutto avrebbe avuto un senso. Dopo tre anni come viceparroco, sono stato trasferito come nuovo parroco in un paesino dell’entroterra. Mia madre era così orgogliosa di me! Ed ero felice. Non ti nascondo che sognavo di fare carriera all’interno della chiesa, ma erano sogni fugaci, basati più sul mio ego che sul desiderio di servizio. Il pretino di campagna che fa carriera..già, sarebbe stata una grande soddisfazione..

– Cosa ti è successo, Roberto? Hai avuto una crisi?

– Non lo Velia, non lo so. Sono cominciato a scivolare in una sorta di pozzo. Ho iniziato a mettere in dubbio la validità dei sacramenti, ho iniziato a pensare che tutto quello che facevo era perfettamente inutile. Sono andato perfino in analisi, dove il dottore che mi aveva in cura ovviamente faceva risalire tutto a mio padre, al fatto di non averlo mai conosciuto, al rapporto tra padre e Dio, eccetera. La realtà era ben altra: non attribuivo a quello che facevo nessun significato. Mentre prima avevo quella sorta di fervore che mi spingeva a salvare le anime, a portare Cristo a tutti, a predicare il suo Vangelo, stavo diventando una sorta di burocrate.

Velia spalancò gli occhi, per lo stupore: le sembrava di risentire lo sfogo di Padre Romolo, la cui crisi però aveva avuto un esito ben diverso.

Roberto non ci fece caso e continuò il racconto, con lo sguardo perso oltre il mare.

– Questo era il pensiero fisso, che aveva iniziato a corrodermi il cervello, la mente, il cuore: Dio salva tuti, indipendentemente dai sacramenti, dalla chiesa, da Gesù. Punto. Dunque, quello che io sto facendo è perfettamente inutile. Ne ho parlato, sai, Velia, con varie persone: con il mio padre spirituale, con il mio vescovo, con un santo frate. è stato inutile. Una crisi di fede, profonda, tremenda, come un tarlo che mi ha corroso l’anima. Finchè non ho lasciato la parrocchia, la chiesa, la fede. O forse la fede ha lasciato me. Chissà. Mentre celebravo la Messa avevo delle crisi tremende. Le ricordo bene, come se fosse ora. Pensavo che se Lui era davvero lì, tra le mie mani, allora ero tremendamente indegno di compiere quel ministero. Se invece Lui non era lì, con me, stavo ingannando quelle persone.

– E gli amici, Roberto? Non so, non hai avuto nessuno che ti seguisse, ti aiutasse?Mi hai detto che ne hai parlato, ma credo che forse dovevi essere proprio curato, seguito.

– No, Velia, non volevo nessuno. Ho iniziato un percorso, all’inizio, che poi ho smesso. Sono tornato da mia madre, schiacciato da una profonda depressione. Stavo sempre a letto, giorno e notte. Presi anche antidepressivi, che ho poi sospeso. Mi sono letteralmente costretto all’immobilità. Schiacciato da un senso di inutilità, di paura, di angoscia. E così la mia vita è scivolata pian piano su questa sedia a rotelle. Perché non mi sono più mosso, Velia. Ho iniziato a perdere tono muscolare, a rintanarmi come un pappagallo su un trespolo, su questa carrozzella, che lascio solo il pomeriggio, per andare a letto. Hai visto la mia casa? E’ pesante, vero? Buia, tetra..quelle tende, quei mobili…Sono orribili. Ma li voglio così. Sento di non meritare neanche questo meraviglioso spettacolo a cui sto assistendo ora. Mentre guardo questo mare, mi sento indegno di un panorama così. Sai, mia madre si vergognava di me..Era così orgogliosa di avere un figlio prete! Ed ora, sono tre anni che vivo chiuso in casa, così, perso tra quelle quattro pareti, senza pregare, senza vivere. “

Velia sentì una stretta al cuore. Guardò il volto di Roberto, così delicato, così fragile e percepì tutta la sua sofferenza.

Gli prese la mano, gliela strinse, e gli disse, semplicemente: – Roberto, Dio ti ama. Tanto.

Roberto scosse la testa, sorridendo amaramente.

– Oh, Velia, quante volte l’ho detto ai giovani. Dio mi ama. Sì, Dio ama tutti, anche me, povero derelitto, che ho rifiutato i doni meravigliosi che la vita mi ha offerto. Eppure, io, questo amore, non lo percepisco. Sento solo paura ed inutilità, Velia.

Velia pensò che fosse  inutile parlare. Non aveva senso. Era stato importante farlo sfogare ed ora era giunto il momento di tornare a casa.

Mentre ripercorrevano la strada verso il loro quartiere, Velia notò Raluca che parlava animatamente, appoggiata ad un albero.

– Non mi devi chiamare, capisci? E’ finita, io non posso stare con te, non posso vederti più. Basta. Devi stare lontano da me!

Velia si affrettò, sperando che lei non la vedesse: non voleva metterla in imbarazzo e si chiese se stesse ricevendo molestie dal suo ex compagno. O forse, un’altra storia finita male.

Quando tornarono a casa, Maria era nervosa e preoccupata.

– Velia, io ti ringrazio, sono stata davvero in pena.

– Ma no, Maria, perché? Anzi, se vuoi, puoi approfittare di me per fare qualcosa che non hai tempo di fare, in genere.Non so, andare dal parrucchiere, o altro. Dimmi tu.

– Grazie cara, ho smesso da un bel po’ di tempo di andare dal parrucchiere. Spero non si sia raffreddato, è così delicato. Vuoi restare a pranzo?

– No  grazie, vado, ho del lavoro da svolgere, avrò da fare tutto il pomeriggio. Roberto, grazie  per la chiacchierata!

Roberto le sorrise,stringendo gli occhi e chiedendosi che cosa spingesse quella giovane donna a prendersi cura degli altri, salutandola con la mano, senza parole. Quel giorno, aveva sentito di aver parlato anche troppo.

Velia tornò a casa e si sdraiò sul letto.

Quel ragazzo aveva rinunciato alla vita, rifugiandosi di nuovo nel grembo materno, in una casa soffocante ed asfissiante, che lui amava perché considerava quella situazione tetra ed opprimente la degna prigione per aver lasciato il sacerdozio.

In fondo, quella era la vita che voleva.

“Concentrati sul bene!!” Sentì risuonare da qualche parte, nella testa, o nel cuore.

Ecco, era scivolata nella tentazione di assecondare le ombre di quell’uomo.

Concentrati sul bene. Sembrava facile!Quale poteva essere il bene di Roberto?

Non ne aveva idea. Non riusciva a vedere un raggio di speranza in quella vita che non fosse rifiutato dall’uomo e da sua madre.

Avrebbe voluto avere Gesù accanto, parlarne con lui, ma non sentiva la solita spinta interiore che l’avrebbe portata ad incontrarlo.

Roberto era solo: non aveva una famiglia, ma solo una madre, onnipresente e soffocante. Aveva abbandonato tutto, chiesa, amici, parrocchiani.

Ma a pensarci bene, non era vero. Lui aveva una famiglia. Già, aveva due fratelli, che vivevano in Argentina, ovviamente più giovani di lui, che magari avrebbero avuto voglia di conoscerlo.  E come poteva incontrarli se lui stesso rifiutava di camminare?Avrebbe potuto invitarli in Italia, ma come rintracciarli? Sicuramente attraverso la lettera che annunciava la morte del padre. Stava fantasticando troppo, facendo i calcoli basandosi sulla sua esperienza, senza tener conto della volontà di Roberto, o peggio ancora, della madre. Ma se doveva concentrarsi sul bene, quella doveva essere la strada per la guarigione di Roberto.

 

17 Visita

Su Gaeta soffiava un vento dolcissimo, che increspava le acque, cullando le barche dei pescatori, quasi invitando i turisti che cominciavano a riversarsi sulle spiagge. Era il mese di giugno, il caldo era ancora mite, ma già molte famiglie, specialmente campane, affollavano il lido di Serapo. Velia amava andare nella spiaggia che si trovava proprio sotto la Montagna spaccata: il prezzo era minore rispetto agli altri stabilimenti ed aveva una piccola rientranza che formava una sorta di piscina naturale, dove facevano il bagno quando era in colonia, e fu lì che avrebbe fatto la sua prima nuotata da adulta. Ma quel giorno, non se la sentì: sedette semplicemente sulla spiaggia, ripensando a quell’uomo con la camicia gialla, che sarebbe riapparso nella sua vita anni dopo. Quella mattina, sicuramente i suoi genitori erano già morti, ma lei non poteva saperlo. Anzi, a pensarci bene, erano morti proprio nel momento in cui Lui le era apparso. Trovarsi lì, con la consapevolezza di aver bisogno di riafferare i ricordi per poter avere l’illusione di saper gestire meglio la sua vita, la dava conforto e tristezza allo stesso tempo.

Il Mondo stava cambiando: tutto stava finendo, sprofondando nella melma dei propri egoismi, tradimenti, degli inganni che gli esseri umani propinavano alla proprie anime, sperando di sfuggire alla resa dei conti. E arrivava il momento di guardarsi allo specchio, di decidere cosa fare della propria vita, che direzione prendere. C’era chi doveva decidere se continuare a strisciare o rialzarsi, chi doveva prendere atto che l’unico modo per trovare pace era perdonare, chi doveva riuscire a farsi amare, o accettare semplicemente di non essere amato. E lei, in questo era stata aiutata molto, da quella Creatura che aveva cambiato il corso della storia, fraintesa, contestata ma mai ignorata. Avrebbe voluto conoscere altre persone che magari avevano avuto la sua stessa esperienza, ma sapeva che non era quella la sua strada. Il suo unico appoggio e guida, doveva essere Lui.

Tornando a casa, avrebbe voluto passare da Roberto, ma si trattenne. Temeva di essere troppo invadente e sperava che quella passeggiata potesse aver fatto sorgere nell’uomo il desiderio di riprendere a vivere in maniera consapevole e completa. A casa cominciò a tirar fuori i capi di abbigliamento estivi, per lavarli e sistemarli con cura nell’armadio. Suonarono alla porta e si domandò chi potesse essere: Raluca era al lavoro e non aveva ancora confidenza con gli altri della palazzina.

Guardò dallo spioncino e rimase senza parole. Quando gli incontri avvenivano fuori, le sembrava naturale vederlo sbucare da dietro un angolo, o uscire fuori da una chiesa, ma trovarselo davanti alla porta di casa, era tutt’altra cosa. Aprì la porta felice. Il  cuore le batteva forte per la gioia e lo fece entrare.

– Che sorpresa. Benvenuto.

– Ciao Velia. Posso sedermi?

– Oddio mio, ma certo…Scusa, è…che non capita tutti i giorni avere il Figlio di Dio nella propria casa!

Sorrise, come sempre.

– Come stai, Velia?

– Io sto bene. Vorrei vederti più spesso, tutti i giorni. Vorrei mi guidassi passo passo…queste persone hanno tanti problemi!

– Non fermarti all’incontro con me, al fatto che mi vedi. Affina la tua sensibilità, la tua sapienza interiore. La devi collegare sempre di più alla mia, devi cominciare a vedere come vedo io, a sentire come sento io. E’ uno sforzo quotidiano, che parte da dentro, Velia. Vedi, sei arrivata da sola alla conclusione che Roberto può guarire, ma deve perdonare suo padre ed accogliere i suoi fratelli. Questo perché ti sei concentrata sul bene. E quando ti concentri sul bene, sei in sintonia con me. Io sono sempre con te, tu lo sai.

– Non so se la madre riuscirà a perdonare, a lasciarlo andare. Temo si opporrà. Ha sofferto molto, è piena di rabbia, di delusioni.

– Abbi fede. Abbi fede. Una madre è una madre. Tu pensi che la mia abbia capito da subito cosa stava accadendo?

Velia sussultò, nel sentirla nominare e un senso di amore dolcissimo e profondo la invase. Veniva da Lui.

– Tua madre…io l’ho vista.

– Mia madre ha sempre accettato, sin da subito, quella missione. Non sempre ha capito. Ma ha avuto fede. E credimi Velia, ha sofferto. Tanto, più di quanto immagini. Le chiacchiere del paese,  il dover fuggire dalla sua terra, per far scampare alla morte questo suo figlio. Mio padre era la sua forza, io ero la sua ragione di vita, Dio la sua fonte di Amore. E poi, mi ha visto crescere così, in maniera normale, come tutti gli altri. Ha pensato ad un certo punto, ha sperato quasi…che sì, quella in fondo sarebbe stata la mia vita, non vedeva niente altro di diverso. Una nascita miracolosa, una vita quasi piatta. Ma poi, quando me ne sono andato, ha capito. Tutto. E non è stato facile per lei sentir parlare di me. Perché lei, sapeva. Non l’hanno ingannata le lodi, le voci su di me. ”Maria, tuo figlio fa miracoli…Maria digli di stare attento a come parla….Maria, tuo figlio è seguito da folle intere..”

Velia tacque, fissandolo negli occhi, vedendo nel suo sguardo gli anni trascorsi in quella Terra che aveva imparato ad amare.

– Ma mia madre sapeva, aveva intuito che quella strada che stavo percorrendo mi avrebbe portato alla morte. Aveva capito tutto, giorno dopo giorno. E ha continuato ad amare, a pregare, ad accettare. Senza porsi il minimo dubbio, su cosa dovesse o non dovesse fare. Si fidava di me. Tu non sai, Velia, quanto mia madre abbia amato i miei discepoli, i miei apostoli, qui, su questa terra. E anche loro, avevano un sentimento di profonda tenerezza, di amore, verso di lei. Questo mi riempiva di gioia. Quando la guardavano, vedevano in lei il mio volto. E quando me ne sono andato, pregava con loro, era sempre con loro. Non vi era per lei gioia più grande che stare in compagnia di persone che avevano amato suo figlio. E questo vale ancora oggi.

Velia sedette, commossa da quella descrizione, da quell’amore.

– Io ti ho fatto vedere un angolo di sofferenza, lì, sotto la croce. E’stato necessario, ma è durato poco. Saresti stata schiacciata da quel dolore e non volevo. Ma la gioia, il volto radioso, la luce che emanava quando sono andato da lei, da risorto, quello Velia, è stato il momento più bello della sua vita, dopo la mia nascita. Lei era lì, piccola, fragile e forte allo stesso tempo e guardava me, completamente trasfigurato. Non che non ci credesse, ne avevamo parlato, l’avevo preparata, ma la gioia che ha provato supera ogni altra gioia. Sarà così quando ti rivedrai con tuo marito, con i tuoi genitori, e vedrai anche lei, mia madre.

Le prese la mano e Velia chiuse gli occhi e vide. Un raggio di sole potentissimo e il suo volto, lo stesso che aveva visto nel sogno, a Nazareth, si affacciò alla sua mente, luminoso, soave. Non sarebbe riuscita a descrivere neppure in cento anni, la gioia e la purezza che trasmetteva quel viso.

– Maria!  sussurrò Velia, e quel volto le sorrise.

– Gesù, le sue apparizioni, sono tutte vere?

– Velia, sono pochissime quelle false.  Vuole portare le persone all’incontro di amore con me, sta dicendo a tutto il mondo, scendendo qui, su questa realtà devastata: amate mio Figlio, seguitelo, perché lui vi ama in maniera completa, profonda . E’ questo il centro della sua missione. Non le interessano nuove devozioni fine a se stesse, molte persone purtroppo usano tali pratiche per autolodarsi, per compiacersi della propria fedeltà, ma il loro cuore è lontano da me. Nutrono invidie, cattiverie, gelosie, non riescono a guarire, a perdonare. Con questi sentimenti, Velia, non si può vivere nel regno dell’Amore, il mio Regno, ecco perché è importante che la guarigione avvenga già qui, su questa terra,  la sua gioia è vedere me accolto in una nuova vita. Perché anche questa vita, Velia, può diventare l’anticamera del paradiso, se lo si vuole. Il suo amore per me è completo, totale e credimi Velia, la sua gioia è immensa quando vede che un’anima accetta di accogliere il suo amore. Lavora, instancabilmente, per questo regno di Amore. Ha schiere di Angeli pronti ad andare dove lei li manda. La amano tantissimo e sono così felici quando possono aiutare qualcuno, credimi. E’ questo nostro Amore che stiamo cercando di trasmettere a questi milioni di anime perse nel mondo.  Abbiamo bisogno di persone come te, Velia.

 

Velia non riusciva a parlare, a fare le centinaia di domande che si ammassavano nella sua mente. Ascoltava quelle parole riuscendo a vedere la stupenda realtà che si celava dietro quel volto.

– Vorrei farti una domanda, Gesù. Una sola. Se vuoi rispondermi, ovviamente.”

– Chiedi pure, ma non so se ti risponderò.

– Ti sei mai innamorato? Di una donna, intendo. Ce n’erano tante che ti seguivano. Tante.

Gesù sorrise e scosse la testa.

– Tante per la società di allora, hai ragione. No, Velia, non mi sono mai innamorato come intendete voi. Un amore esclusivo, un legame  stabile, nei confronti di una sola persona, come lo intendete voi? No. Mi sarebbe stato impossibile. Io sono nato innamorato, Velia. Dell’Umanità. Il mio tipo di amore ha un carattere universale, non mira a possedere, a concentrarsi su una persona. Forse è difficile da capire, ma spero tu possa farlo. Anche se ho avuto le mie tentazioni, come ben sai, come hai potuto leggere nei Vangeli.  Il resto, storie leggendarie su matrimoni e figli, sono solo invenzioni. Quando non si arriva a comprendere, a capire fino in fondo, quando non si coglie la vera e profonda essenza di un avvenimento,  allora si inventa.

– E le tentazioni, Gesù?

– Io mi sono fatto uomo affinchè l’Uomo fosse divinizzato. Ma non nel senso che intendete voi,  cercando cioè un potere di natura magica che manipolasse e cambiasse la realtà a proprio piacimento. E’ il potere dell’Amore e tutti i doni che ne derivano, quello che divinizza l’uomo. Le tentazioni?  Sappi solo che sono state forti, molto forti. Spettacolarizzare l’amore, il potere, usarlo per asservire invece di servire. Per ammaliare le masse, per soddisfare l’ego. Sfamare il popolo non per nutrirlo ma per avere potere. Guarire non per amore, non per salvare ma per soddisfare un ego che ama solo sé stesso. Non funziona così.  E’ stato lì che ho capito in fondo, quanto la mia vita sulla terra dovesse servire a liberare, non ad assoggettare.  E quel giorno, sulla croce, oltre alle atroci sofferenze fisiche, ho sofferto perché ho visto le conseguenze del peccato, di chi non avrebbe accettato il mio insegnamento e avrebbe continuato a odiare, a seminare discordia, a rifiutare tutto ciò che di più bello possa offrire la vita. Ma sapevo che vi sarebbero state persone, in ogni tempo e luogo, che avrebbero aderito a questo Sommo Bene.”

– Dunque, il male è come lo si racconta? E’ una persona? Un angelo decaduto?

Gesù si alzò e la guardò, profondamente. Aveva uno sguardo terribilmente serio e triste ora, e le sembrava più alto del solito. Scandì le parole lentamente, pesandole una ad una quasi ad accertarsi che penetrassero in lei come spade affilate. Mentre parlava, Velia rabbrividì.

– Velia, il male non è un’energia indefinita o una semplice assenza di bene, o la personalizzazione di problemi psicologici, o quant’altro l’umanità è riuscita ad inventarsi per negarlo. C’è, ed è molto più forte e furbo degli esseri umani. Vi odia, Velia, vi odia talmente tanto che se non ci fossero i miei angeli a proteggervi, la situazione sarebbe inimmaginabile.  Purtroppo, i più grandi complici del male sono proprio le sue vittime. Sappi solo questo, ma concentrati su bene. Al resto penso io. Concentrati sul bene. Domani riceverai delle visite. Molto importanti. Sarai al centro di un vortice di eventi. Le persone, specie le più sofferenti, percepiscono maggiormente la presenza del bene, della comprensione e te le troverai intorno Velia. Sapessi, quante volte la risposta alle preghiere delle persone è stato incontrarne un’altra, che ha dato una svolta alla propria vita. Mi raccomando, concentrati sul bene. Come in cielo così in Terra. Ho cercato di farti capire quanto sia puro l’amore che proviamo per voi, lassù. Questo Amore del Cielo lo vogliamo sulla Terra. Concentrati sul bene, anche quando troverai persone che sembrano voler tirar fuori il peggio di te.

Velia lo guardò uscire dalla sua casa, a malincuore. Sapeva, che se fosse servito, lui sarebbe morto di nuovo per lei. Ma non serviva. Doveva solo aprire le mani ed accogliere quel dono. Ma quel giorno, guardandolo camminare per strada, alzare lo sguardo verso la sua finestra e salutarla con la mano sorridendo, capì quanto il senso cristiano della morte era completamente diverso da quello del mondo. Morire, era andare incontro a Lui, restare per sempre con Lui. E quella non poteva che essere davvero una splendida rinascita.

 

18

Domenica ore 9.00 Comincia la Fine….

A volte la vita sembra prendere la rincorsa: rallenta un attimo, espandendo respiri e paure, incontri e scontri e ogni giorno è un lento e pesante fotogramma, che sembra non terminare mai. Poi quando meno te lo aspetti, gli eventi cominciano a correre, l’uno dietro l’altro, apparentemente senza uno schema ben preciso e si svelano le tante realtà nascoste dietro volti più o meno conosciuti, realtà che si frantumano  nell’illusione, o che svoltano l’angolo, pronte a ricominciare.

Come preannunciato, poco dopo suonò il campanello. Era la signora del piano di sopra, la donna che aveva consigliato a Velia di tornare nel suo appartamento.

Velia le aprì, sorridente: aveva i capelli ancora più corti di quando l’aveva vista la prima volta, un taglio che le ricordava Demi Moore, nel film Ghost e aveva anche un paio di orecchini a forma di stella, che stonavano decisamente con il suo stile semplice, casalingo. Una tuta blu scuro e un paio di ciabatte infradito, completavano questa immagine di semplicità e di quiete, della classica casalinga che trascorre molto tempo in casa, leggendo o guardando la televisione. Ma dietro l’apparente calma e pacatezza, si nascondeva ben altro, scoprì presto Velia.

– Salve, signora, lei si chiama Velia, vero? Io sono Antonella, ci siamo viste purtroppo in un’occasione poco felice.

– Sì, prego, Antonella, si accomodi. Sono felice di conoscerla. Prende un caffè?

– Diamoci del tu, va bene? No, il caffè poi non mi fa dormire, ne ho già presi due. Magari qualcos’altro. La mattina mi sveglio presto, mio marito lavora in banca, io grazie a Dio non ho bisogno di lavorare e così mi godo la vita di casa. A volte è un po’ noiosa, ma poi ci pensano le vicine a movimentarla! - concluse con una risatina, mettendosi la mano davanti alla bocca.

Velia le offrì un bicchiere di latte di riso.

– Mi scusi, sa, sono due donne particolari. Puntuali nel pagare l’affitto, questo è importante. Ma lei, la grande! Dio mio, che lavoro orribile. In pratica fa la strega, capisci Velia? Buono questo latte di riso! Velia, non mi dire che sei una tipa tutta alternativa, yoga, meditazione…Non mi sembri.Non che ci sia niente di male, per carità, ma ora va di moda questo buddhismo, questo induismo…Come ti dicevo, fa la strega! Cioè una che fa le carte, che prepara oroscopi e talismani, come la vogliamo chiamare? E poi questa ragazza, fragile, poverina. Dicono che si prostituisse- Ma che ne so, la gente parla, parla. Sarà vero? Io  sono una donna molto riservata, mi faccio gli affari miei. Non parlo. Ho un figlio, non posso giudicare. Però…Insomma, ma come si fa a vivere così?? Mio figlio è fantastico, si chiama Davide, si è laureato lo scorso anno con 110 e lode, in Economia e Commercio e già lavora. E’ un consulente aziendale. Un lavoro fantastico. Mio marito avrebbe voluto inserirlo in banca, ma Davide odia la banca. Che strano!

Fece una risatina, scuotendo la testa. Velia era frastornata da quel fiume di parole. Non riusciva a risponderle, a inserirsi in quel soliloquio deprimente.

– Sergio, si figuri, mio marito, provava pena per la piccola. Ti rendi conto? Ma che pena, dovrebbe prendere esempio da mio figlio, un ragazzo tutto d’un pezzo. Adesso Velia spero tanto che si innamori di una brava ragazza. Che devo dire? Devo essere sincera, Velia. Che non sia ne divorziata né ragazza madre, che si sposino in chiesa, che abbia una sana famiglia alle spalle, perché non voglio che la gente mi rida dietro. Ecco, questo è quanto desidero per lui.

– Beh, mi sembra giusto,  - rispose Velia, semplicemente perché non sapeva cosa dire. Certi parametri erano lontani anni luce dalla sua mentalità, e si sentì ipocrita per aver risposto in quel modo, ma doveva pur stabilire un punto di contatto con quella donna.

Antonella la guardò, convinta di aver conquistato il suo cuore.

– Velia, le dico la verità. Di donne e famiglie perbene, come la nostra, ce ne sono poche. Io ti sarò sempre vicino, una buona amica e vicina. Sempre. La nostra famiglia è un angolo di paradiso, siamo gente rara. Un marito, un figlio fantastico. Velia, devi venire a cena da noi! Sei single, vero?

– No, sono vedova. E non ho figli.

– Dio mio, mi dispiace. Non sai quanto. Beh, sei giovane, puoi rifarti una vita, risposarti. Io sono stata fortunata, ho un marito adorabile, per bene. Ecco, a me questo interessa, che la gente sia perbene. Qua le cose stanno cambiando, i valori, i principi. Ecco, al piano terra quella poveretta abbandonata dal marito, con questo figlio che ha lasciato il sacerdozio. Mah! Povera chiesa. Quanta incoerenza! Ma che ti fai a fare prete?? Povera mamma, che delusione”  E prima il marito che la lascia per andarsene con un’altra, poi questo figlio! E non si sa che malattia abbia! Velia, tutti noi sappiamo che ha la Sla, i sintomi sono quelli. Ma io Velia, lo so qual è il problema. E’ la punizione divina. Tu non puoi farti prete, consacrarti, e poi bum, molli tutto. Certo, sei uno spergiuro, una persona sacrilega e giustamente il Signore lo ha punito. Non voglio giudicare per carità…però, è una cosa vergognosa quello che ha fatto. La romena l’hai conosciuta, vero? Niente da dire, è pulita, precisa, ma quella povera bambina, non voglio pensarci. Ha lasciato il compagno, perché era violento. E certo, bisogna pure vedere perché era violento. Che ne sai? Forse lei beveva, era immorale. Queste sono persone che molte volte hanno un brutto passato nel loro paese e se ne approfittano Velia. Arrivano qua, tanto non le conosce nessuno, fanno le santarelle, trovano lavoro e bravi ragazzi. Io spero che mio figlio non si metta con una straniera, specie dell’Est. Principi etici, zero! La voglio italiana, cattolica e single. Ecco, questo chiedo al Signore. Per carità, la bambina è un amore, ma non parla. Mi piange il cuore. Chissà quante ne avrà viste! Pure lei, la lascia tutto il giorno in giro, dalle amiche, o se la porta da quella anziana. Non mi sembra uno stile di vita sano per una bambina.

– Deve lavorare, anche perchè le deve pagare l’affitto. Magari, se può abbassare la quota, le farebbe sicuramente un piacere.

Antonella strabuzzò gli occhi, colta da quella che riteneva una proposta sconveniente.

– Velia, vedo che sei un’idealista. Tesoro, gli affitti sono quelli che sono. Non dimenticare che abitiamo a Gaeta. Se non riesce a vivere serenamente qui, puoi sempre tornare in Romania, avrà puire una casa, una famiglia? Ho visto che veniva a cena da lei, con la bimba. Ecco Velia, cerca di frequentare persone per bene, come noi, mischiati poco con questa gente. E’ capitata purtroppo in una palazzina particolare. Ma si è fatto tardi, mio marito non torna a pranzo, però devo fare da mangiare per mio figlio. Sono un po’ preoccupata, lo vogliono mandare a fare un corso di aggiornamento su al nord, però, se è per lavoro non può rifiutare. Mio marito intendo. Non so se faccia bene ad una coppia che il marito si trasferisca per un breve periodo di tempo. Non so. Ma è bravo, onesto, non corro pericoli, che vado farneticando pure io!Velia, è stato un piacere, ma non mi hai detto niente di te. La prossima volta voglio sapere tutto, tutto! Che lavoro fai, amicizie, tutto!Diventeremo buone amiche lo sento.

Si alzò, diede un sonoro bacio a Veli ed uscì di corsa.

Un senso di nausea profondo, viscerale assalì Velia, che era stata letteralmente bombardata dalle parole della donna. Era frastornata, stordita da quel fiume in piena. Era una una strana domenica, uno modo insolito di cominciare una giornata. Vivere così, giudicando e criticando, ponendosi su un piedistallo fatto di disprezzo e perbenismo: era una persona assurda, o forse molto sola. Si stava concentrando sul bene, ma era molto difficile con quella donna: sì, doveva riconoscere che era logorroica, invadente, ma perché fondamentalmente sola e dunque bisognosa di amicizia. Era riuscita a trovare il bene, nonostante la nausea che provava per lei. O almeno così sperava.

 

Domenica, ore 10.00

Velia si mise un semplice paio di jeans, con una maglia a maniche lunghe e si preparò per andare a trovare Roberto. Sapeva che la madre andava abitualmente a messa la mattina e preferiva non trovarla in casa, quando avrebbe iniziato a tastare il terreno e vedere se Roberto poteva trovare come stimolo per una guarigione quella di conoscere la sua famiglia. Decise di legare i capelli con un elastico, facendosi una coda: aveva i capelli lisci e a Sandro, legati, non erano mai piaciuti, per questo Velia li teneva di lunghezza media, appena sopra le spalle. Ma ora aveva deciso di farli crescere. Quel pensiero le provocò un doloroso senso di colpa, come se stesse trovando un aspetto positivo per la morte di Roberto. “Sei molto amata, Velia” sentì risuonare nella testa e quel pensiero dolce e sottile, la aiutò subito a ritrovare una sorta di serenità. Mentre sistemava la frangia suonò il campanello e fu sorpresa nel vedere Florentina in pigiama, sul pianerottolo. Aprì la porta, e la bambina la prese per mano, portandola in casa sua. Un odore di caffè proveniva dalla cucina.

– Raluca, sono Velia, dove sei?

 Non rispondeva nessuno. Velia entrò nel salottino e trovò la donna sdraiata per terra, con gli occhi spalancati e le labbra che tremavano.

Velia la chiamò, ma non riusciva a parlare: muoveva le labbra, ma ne usciva solo un mugolìo incomprensibile.

– Gesù, aiutala, ti prego!- pregò Velia e chiamò immediatamente il 118. Prese la bambina e cercò di tranquillizzarla, accarezzandole la testa e dicendole che la mamma aveva solo un gran mal di testa.  Si inginocchiò davanti a lei e le prese la mano, parlandole con voce dolce e la donna girò lo sguardo verso sua figlia.

– Non preoccuparti, Raluca, mi prendo cura io di Florentina, stai tranquilla, sarà con me, è importante che adesso ti curi.

Velia ricevette dalla donna una leggera stretta di mano. Non aveva forze, né riusciva a parlare e Florentina si inginocchiò al suo fianco, accarezzandole il viso. “Gesù aiutala, ti prego!” implorò di nuovo  mentalmente Velia. Sentì nel cuore ben chiara la sua risposta:  “Stai tranquilla, è purtroppo necessario che questo avvenga. Poi capirai”. Finalmente arrivarono i soccorsi e dopo una breve visita, portarono via Raluca. Velia cercò degli indumenti per Florentina, lasciò il suo numero di telefono agli operatori sanitari, vestì in fretta e in furia la bambina e seguì l’ambulanza.

Giunti in ospedale, aspettò con la bambina nella sala d’attesa. Velia cercava di parlare dolcemente a Florentina, di tranquillizzarla, ma la bimba guardava fissa davanti a sé, senza dare nessun segno di reazione. Si chiese cosa potesse essere successo a quella donna e si chiese anche come avvertire i suoi parenti o amici. Poco dopo uscì un medico, che le spiegò la situazione.

– Signora, abbiamo il risultato della tac. La signora ha avuto un accatto ischemico. Si riprenderà, ora è in terapia intensiva, sotto osservazione.

– Ma è giovane, dottore. Io pensavo colpisse solo gli anziani!

– E’ raro, ma può succedere, specie se si tratta di persone fumatrici, con problemi di ipertensione. Che lei sappia, la signora prendeva dei farmaci? Soffre di ipertensione?

– Guardi, io sono una vicina di casa, non la conosco a fondo, non saprei.Ma ora come sta?

– Non si preoccupi, non è in pericolo di vita. La zona interessata è minima, è stato molto leggero. Non potete entrare, per sicurezza la terremo in terapia intensiva, per monitorare la situazione. Non ci sono disturbi cardiologici, o gravi lesioni. Potete vederla da fuori. Se lei vuole venire dopo, nell’orario delle visite, potrà entrare con apposito camice e mascherina.

Velia decise di non tornare a casa, ma di portare la bambina in un fast food, per farla riprendere dallo spavento e mentre guidava canticchiava, per distrarre Florentina:                           – Tesoro, la mamma starà benissimo, ha avuto solo un forte mal di testa, tranquilla!Ora è in una stanza grande, bella, con tanti computer. E lei, birbantella, sai che fa?? Dorme!!! Che mamma dormigliona, che hai!!

Florentina sorrise, anche se continuava a guardare fissa davanti a sé.

 

Domenica ore 15.30

La bambina aveva toccato appena il panino e pochissime patatine. Non aveva appetito ed aveva gli occhi pieni di lacrime. Velia cercò di tranquillizzarla come meglio poteva e dopo aver fatto un giro lungo la via Flacca e una breve passeggiata sulla spiaggia, tornarono in ospedale. Sarebbe voluta entrare da Raluca, per stringerle la mano e farle capire che andava tutto bene, che si sarebbe presa cura lei di Florentina, finché non si fosse stabilizzata, ma poteva entrare una persona alla volta e le dispiaceva lasciare la bimba da sola, nel corridoio.

Mentre arrivarono di nuovo in ospedale, pregò mentalmente più volte :”Signore, falla guarire!” e senti una pace meravigliosa discendere in lei. Quando arrivarono, guardò attraverso il vetro e rimase stupita da quello che vide. C’era un uomo vicino a lei, con la mascherina e il camice verde, che le teneva la mano e le accarezzava il viso. Velia non lo conosceva, ma era sicura che non fosse il padre della bambina. Era forse l’uomo con cui l’aveva vista discutere al telefono? Non era dunque vero che non aveva avuto più storie. Prese in braccio la bimba e le disse: – Guarda, Florentina, la mamma non è più sola. Vedi?

 La bambina sorrise e scosse la mano in segno di saluto. L’uomo si voltò, ricambiò il saluto e poco dopo uscì dalla stanza.

Si tolse il camice e la mascherina e Velia lo guardò attentamente, ma non riusciva a ricordare di averlo mai visto. Era alto, abbronzato, con un paio di occhiali, un visto aperto, gioviale. Dalla maglietta fuoriuscivano delle braccia ben allenate sicuramente in palestra e nei suoi occhi si poteva leggere una profonda preoccupazione.

– Florentina, vieni qua! - esclamò,  tendendo le mani verso la bambina e lei, guardando Velia come per scusarsi, si gettò tra le braccia dell’uomo.

– Lei deve essere Velia, vero? Io sono Davide.

– Davide. Ho già sentito questo nome. Davide. Ci siamo visti da qualche parte?

– Sicuramente hai conosciuto mia madre Antonella, abitiamo al secondo piano.

– Ah! Si, certo, ho conosciuto tua  madre, è venuta a trovarmi proprio stamattina.

– Avrà fatto uno dei suoi interminabili monologhi, immagino!

Velia sorrise, ma non rispose.

– Davide, sei un amico di Raluca?

– Amico, mai. Mai. Io la amo, Velia, sono pazzamente e profondamente innamorato di lei e di questa cucciola.

 Si interruppe per stampare un sonoro bacio sulla guancia della bimba, che sorrise abbracciandogli la testa.

– Voglio che sia la donna della mia vita, voglio farmi una famiglia con lei, Velia, ma mi sono innamorato di una persona tremendamente testarda, vittima di paure e pregiudizi.

Velia rimase senza parole: non avrebbe immaginato mai che il famoso figlio di Antonella avesse una storia con Raluca.

– Purtroppo Velia, ci sono molte difficoltà. Abbiamo iniziato a frequentarci di nascosto, prima per timore della reazione della bambina, poi ha iniziato a tirar fuori la paura dei miei genitori. Lei ha conosciuto mia madre, ha sentito come la pensa.

– Sì, Davide, mi ha…esternato qualcosa!

– Come sei diplomatica! La voglio italiana, cattolica e single! fece Davide, imitando la voce della madre. – E bada, che si è ben assicurata che lo sapesse anche Raluca. Non credo abbia mai sospettato niente, ci vedevamo raramente, specie la sera, quando Florentina andava a dormire da un’amica, anche se molte volte siamo usciti tutti e tre insieme. Vero tesoro?  -E strinse la bimba ancora più a sè.

– Velia, ho chiesto a Raluca di sposarmi. Le ho promesso che mi sarei preso cura di lei, della bimba, amandola e rispettandola, come mai nessuno aveva fatto. Ma lei niente, ha temuto l’ostilità dei miei, le conseguenze di questo amore che lei reputa sbagliato, in nome di non so cosa e mi ha lasciato.

Il suo volto si indurì dalla sofferenza, ma anche dal rancore che sicuramente provava verso i suoi.

– Ma ora basta, ora mi prenderò cura di lei. Ho un ottimo lavoro, guadagno bene, dovrà smettere di lavorare, l’avrà lei la donna delle pulizie, altro che massacrarsi tutto il giorno per restare con pochi spiccioli.

Velia sentì una fitta al cuore, ricordando la bellezza e la profondità dell’amore che l’aveva legata a Sandro e in quel momento lo sentì particolarmente vicino.

– Davide, hai tutto il mio appoggio, sono felice perché so che la farai felice, è una brava persona. Ora è fragile più che mai e ha bisogno di te.

– Velia, io devo avvertire i miei e non sarà facile, specie per mamma. Ti chiedo di prenderti cura di Florentina, finché non esce Raluca dall’ospedale. Io devo lavorare, mi potrei trasferire da loro, ma a che serve? Puoi pensarci tu, vero?

– Tranquillo, me ne occuperò io!

Velia tornò a casa con la bimba, stupita da tutto quello che aveva visto. Gesù aveva ragione, il vortice era cominciato, e tutti quegli avvenimenti non le davano neanche il tempo di riflettere su quanto stava accadendo.

 

Domenica ore 18.00

Velia prese Florentina e scese da Roberto. Si era accorta che la madre era uscita, sicuramente andava alla messa del pomeriggio e ne approfittò, certa che le sarebbe stato più facile parlare con l’uomo.

Le fece entrare, leggermente sorpreso e subito le chiese che cosa fosse successo a Raluca.

– Ha avuto un leggero ictus, è in terapia intensiva, ma i parametri sono buoni. E mi prenderò cura della bambina finché non tornerà a casa. Tu, Roberto, come stai? Scusami, avrei voluto uscire di nuovo con te, ma appena si sistema tutto….

– Non preoccuparti, tranquilla. E’ stato bellissimo uscire, dopo tanto tempo, rivedere il sole, il mare. Grazie!

– Roberto, io vorrei parlarti seriamente!”

“Mmmm….di cosa? - fece lui preoccupato, corrucciando la fronte e guardandola leggermente sospettoso.

– Ascolta, io credo sia giunto il momento che tu esca da questo guscio. Perdonami, ma è così. Non voglio ferirti ma credimi, ci sono persone che pagherebbero oro per tornare a camminare ma non possono. Tu invece, applicandoti, con una seria terapia riabilitativa, con opportuno aiuto psicologico e perché no? spirituale, potresti guarire. Perfettamente.

– A che serve guarire, Velia? Che scopo avrebbe la mia vita?

– Perché ora che scopo ha, scusa? Sei recluso in casa, alle dipendenze complete di tua madre. Sembra quasi che tu voglia punirla! Stai rifiutando la vita, i rapporti umani. Devi voltare pagina! E poi, se ci pensi bene, hai qualcuno che potrebbe avere il desiderio di conoscerti.

– Cioè?

-Roberto, tu hai due fratelli. Tuo padre, in Argentina, ha avuto due figli che forse non sanno di te, che magari potrebbero aver piacere di conoscerti. Ci hai mai pensato? Puoi contattarli e una volta in grado di camminare, puoi raggiungerli, stabilire un legame con loro. Se accettano, ovviamente. In caso contrario, ci hai sempre provato, no? Tua madre dov’è?

– E’ andata a Messa. Rosario, Messa, Vespri. E’ brava, vero? Deve espiare! - sorrise ironicamente Roberto.

– Per esempio, potresti cominciare con il tornare a Messa. Sicuramente ti farà male, ma Lui, Roberto, non ti ha mai abbandonato. Mai.

– Cristo con me non c’entra proprio niente, Velia. Non credo nel bene, non credo nel male. Non credo in me. Voglio solo che finisca questa vita, al più presto. Ma non termina. Ogni volta, quando mi sveglio, mi accorgo con sgomento, di dormire sempre di meno. Ogni mattina, il numero delle ore diminuisce. E’ doloroso Velia. Stamattina erano le 6.59, mentre ieri erano le 7.02. Ecco, ogni mattina, sarò  sveglio qualche minuto di piu. Questa cosa mi farà impazzire prima o poi. Non posso sopportare tutte queste ore sveglio. Con Gesù che devo fare? Sai in questi anni quante persone non ho aiutato? Quante persone avrebbero avuto bisogno di una parola di conforto, di un’assoluzione dai peccati per riconciliarsi con Dio e non è avvenuto? Sai quante coppie non ho sposato? Bambini non battezzati? Funerali non celebrati?Dovevo fare quello. E non l’ho fatto. Portare il suo amore. E non l’ho fatto. Che se ne fa di uno come me? No Velia. Ti ringrazio, ma voglio finire la mia vita, così, in questo modo, schiacciato da me stesso. Ti ripeto, non credo nel bene, nel male, non credo più in niente.

– Lui invece crede in te, Roberto. Ne sono sicura. E vuole che tu risorga. Ok, sei morto dentro, per tutto questo tempo, ma ora è tempo di risorgere. Non mi raccontar balle, ho visto come ti gustavi il mare, come ti piaceva il sole sul viso. Tu ami la vita, Roberto, la ami. Quello che è stato è stato. Ora, è tempo di resurrezione.

Velia non volle dargli il tempo di replicare al suo invito, per non alimentare il suo vittimismo, si alzò di scatto, ed uscì con la bimba, che nel frattempo aveva fissato per tutto il tempo la foto di Roberto mentre celebrava la sua prima messa, senza neanche salutarlo.

 

Domenica 18.30

Tornata nell’appartamento, Velia fece disegnare Florentina per tenerla occupata, poi andò nel suo appartamento, per prendere gli indumenti e il materiale scolastico e trasferire tutto da lei. Si chiese se Davide avesse parlato con i genitori del suo rapporto con Raluca e della sua decisione di andare a vivere insieme e di sposarla in seguito.

Mentre tornava a casa, si sentì chiamare dal piano di sopra.

Era la ragazza pallida, che aveva avuto una crisi di nervi.

– Signora, signora, come sta Raluca?

– Scendi giù. Vieni a casa, non voglio lasciare la figlia sola, non farmi perdere tempo, dai, vieni.

Velia si rese conto di essere stata brusca e le dispiacque. Come aveva fatto Lui, a sopportare sputi, risate, schiaffi, insulti, da persone a cui non aveva fatto niente di male? Inspirò profondamente e lo pregò  mentalmente di aiutarla a mandar via l’ansia, l’irritazione e la paura che sentiva sorgere in lei.

La ragazza scese. Tremava, aveva i capelli unti e stopposi alle punte, due profonde occhiaie, occhi gonfi, rossastri. Era uno spettacolo penoso.

– Non vorrei disturbare, scusami.

– Vieni, dai. Nessun disturbo. Come ti chiami?

– Emma.

Entrarono in casa e Florentina rimase sorpresa nel vederla. Nel frattempo la bambina aveva disegnato dei cuori rossi, ed aveva un’espressione serena.

– Emma, cosa posso offrirti?

– Un tè, grazie. Con molto limone.

Emma era nervosa, si mordeva continuamente il labbro inferiore e quando prese la tazza con le mani, cominciò a tremare. Ne sorseggiò un po’, ma posò subito la tazza sul tavolo, mettendosi la mano davanti alla bocca.

– Il bagnoooo!!!

Velia la accompagnò di corsa in bagno, tirandola per il braccio e la ragazza cominciò a vomitare. Velia le resse la fronte e si rese conto che la giovane stava vomitando solo acqua.

La fece poi sedere sul divano e le mise un asciugamano bagnato sulla fronte, per rinfrescarla. I capelli erano madidi di sudore e lei era distrutta.

– Scusami Velia, è stato il tè!

– Emma, ma fai uso di droghe?

La ragazza cominciò a ridere, una risata isterica. Tutto il  suo corpo era scosso e alla risata seguì una serie di singhiozzi.

– Magari fosse questo il problema, Velia. Ho fumato un paio di spinelli in vita mia, niente più. All’università. Facevo economia e commercio, uno schifo. Non era per me. No,  non mi drogo Velia. Mia sorella si droga. Sniffa. Sì, dice che potenzia i suoi poteri. La superdonna. Che schifo.

– E allora perché sei così pallida, perché questo vomito?

– Sono incinta.

– Ah.

Questo Velia non se lo aspettava, era sicura che la ragazza fosse intossicata da alcool, droga e psicofarmaci.

– Sono incinta, di due mesi. Mia sorella  mi ha detto di abortire, ma io non voglio. L’uomo con cui ho avuto il bambino mi ha detto di abortire. Ma io non voglio. Tutto mi dice di abortire.

Velia si rese conto che la ragazza era davvero in grossi guai.

– Io, ad esempio, se ti interessa, ti dico di non abortire. Avrai un figlio, è un dono bellissimo. Un figlio è sempre una grazia, mai una disgrazia.

– Velia, dimmi tu, come lo allevo, io, questo bambino? Come lo tiro su?Io non lavoro Velia. Non ho soldi. Non ho una madre, è morta di leucemia anni fa. Faceva anche lei la cartomante. La casa piena, giorno e notte, di poveretti che lei ingannava, manipolava. Faceva loro credere che avessero il malocchio, incitava le donne a tradire i mariti per liberarsi, e i mariti a tradire le mogli, perchè le carte dicevano così.E poi convinceva i poveretti vittime di tradimenti che erano vittima di malefici che solo lei poteva sciogliere!  Senza etica, senza morale. Uno schifo. E mia sorella è peggio di lei. Almeno lei non lo fa in casa. 

– Mi dispiace, Emma.

– Pensa, per non chiederle soldi, mi sono perfino prostituita con degli studenti. Ma mi sono disgustata da sola.

– Ma adesso puoi ricominciare una nuova vita. Questo bambino ti darà la forza, Emma. Credimi!

La ragazza fissava nel vuoto davanti a sè, parve non averla sentita.

– Sai cosa fece la maga di mia madre ad un uomo, che aveva un ristorante? Disse che il suo ristorante era stato vittima di un maleficio, ecco perchè non andavano più clienti. E quell’uomo, che era sporco ed aveva un cuoco pessimo, invece di assumersi le sue responsabilità, si convinse di questo. La grande maga lo mandò sul lastrico. Si suicidò. Mia madre, la maga, faceva lei le fatture, le maledizioni, per poi farsi pagare dalle vittime per sfasciarle. Uno schifo. Mia sorella aveva i poteri, diceva, io no. Almeno mia sorella ha cambiato il nome. Sì, ha un nome d’arte, si chiama Lilith. Un demonio, mia sorella è un demonio travestito.

Emma si rialzò e andò in bagno di nuovo a vomitare senza chiederle nulla. Conosceva la strada, ormai. Anche a Velia stavano venendo conati di vomito, ma si trattenne e bevve del tè. Florentina colorava tranquilla, facendo finta di niente. Le dispiaceva che sentisse quei racconti.

– Emma, questa relazione è finita?

La ragazza cominciò a ridere, piangendo.

– Velia, io ci sono andata a letto una volta sola! Non è una relazione! Non lo amo, non lo voglio. Era per sedurlo, per fare un dispetto a mia sorella. Mi ha fatto schifo persino andarci, pensando che lui andava con lei. E’ l’uomo di mia sorella. E l’ho fatto apposta, a rimanere incinta, sai. Che bello, averla tradita, con il suo uomo, ed avere un figlio da lui. E’ bellissimo.

– Ma lei lo sa?

– No, non gliel’ho detto, non mi interessa. Magari, lo leggerà sulle carte. Forse sospetta qualcosa, mi guarda con maggior odio. Si chiede con chi possa essere andata a letto, visto che non esco quasi più.

Velia tacque, non sapendo come aiutare la ragazza.

– Emma, ascolta, sarebbe meglio che tu andassi via da questa casa, che tagliassi i rapporti con tua sorella.

– E dove vado? Sono sola, sola, i miei parenti non mi vogliono, per via di mia madre e mia sorella. Porto sfortuna, secondo loro. Dove vado, Velia? Dove vado? Sono prigioniera di me stessa, del male che ho fatto.

– Potresti trovare ospitalità in una casa famiglia e poi vedere cosa fare. Potresti vivere lì, fino alla nascita del bambino e poi, con l’aiuto di qualche associazione, trovare lavoro, o rimanere in casa famiglia. Non so bene come funzionino queste cose, ma sono sicura che possono aiutarti. Facciamo una cosa, domani ci andiamo insieme e ci informiamo, che dici?

Emma si alzò, la guardò tremante e la abbracciò.

– Mangia da me, cena con me e Florentina, vuoi?

– No, grazie, vado a fare una passeggiata e poi vado a casa. Non dire niente a mia sorella. A nessuno. Grazie!

Velia scosse la testa, sempre più convinta che concentrarsi sul bene fosse molto difficile, senza il Suo aiuto.La nausea per quel mondo di falsità, di perversione, l’avrebbe sopraffatta, senza di Lui che inondava continuamente di Amore i suoi pensieri, il suo cuore e la sua stessa vita.

 

 

Domenica, ore 21

– Non mi lasciare!!! -urlava Emma, dal piano di sopra.

Velia si affacciò sul pianerottolo, per vedere cosa succedeva.

La sorella di Emma scendeva con una valigia e lo sguardo pieno di odio. Si girò, guardando per l’ultima volta la sorella che la supplicava, e le disse: – Voglio vedere, ora, come farai senza di me! Puoi anche crepare, non mi cercare MAI PIU’! Sei morta per me!!!

Velia socchiuse la porta, anche se sapeva che la donna l’aveva vista. Avrebbe voluto parlarle, ma sicuramente sarebbe stato inutile.

In quel momento il suo cellulare squillò: era padre Romolo.

– Velia cara, come stai?

– Bene, Padre, che sorpresa! E tu, come va? Lo hai rivisto?

– No, ma so che non lo rivedrò più. Mi ha detto tutto quello che dovevo sapere. Tutto bene?

– Sì, tutto bene. No, in realtà non va tutto bene,  mi trovo in dei vortici pazzeschi, con persone che soffrono, non so cosa dirti, è lunga da spiegarti.

– Velia, io prego per te, stai serena, tranquilla, lo sai che non sei sola. Quando vuoi, puoi venirmi a trovare. Io non posso muovermi, per via della parrocchia, lo sai. E se posso aiutarti in qualche modo.

– Grazie padre Romolo, un modo ci sarebbe. Vorrei sapere se c’è una casa famiglia che può ospitare una mia amica. E’ messa male, padre Romolo, è incinta, soffre di depressione, crisi isteriche, ha una storia molto sofferta alle spalle.

– E’ per caso vittima di un maleficio? - le chiese il sacerdote a bruciapelo.

– Non saprei, non mi intendo di queste cose. Per me è un mondo nuovo, assurdo.  Sì, può darsi, la madre era una maga e anche la sorella. Da quel che racconta, la madre ha fatto soffrire molte persone.

– Allora, deve ricevere delle preghiere di liberazione, deve parlare con un sacerdote esperto. Temo per lei, Velia. So che molti ci accusano di superstizione, quando parliamo di questi argomenti, gli stessi vescovi molte volte non ci credono, ma è meglio che si faccia seguire da un bravo sacerdote. Ti manderò via sms il telefono. Per la casa famiglia, ce ne dovrebbero essere un paio per ragazze con queste difficoltà. Se non c’è posto, potrà essere ospitata presso un istituto di suore che si occupa di questi problemi. Stai tranquilla, una soluzione la troviamo. Dio ti benedica, Velia, il Signore è con te.

Velia stava riflettendo sulle parole di padre Romolo. Malefici, fatture, esistevano davvero e c’erano persone, che pur innocenti, ne pagavano le conseguenze, ne era sicura. Ma di questo non ne sapeva niente. Sapeva solo che esistevano sacerdoti esorcisti, che trattavano veri e propri casi di possessione, ma sapeva anche che erano rari. Non aveva idea di cosa fossero le preghiere di liberazione o altro, ma intuiva che Emma ne avesse bisogno. Uno squarcio di luce nel suo mondo di tenebre.

In quel momento le squillò di nuovo il telefono. Era Davide.

– Emma, sei a casa, vero? O da Raluca?

– No, sono da me, con la bimba. Dove sei?

– Aprimi, ora sono davanti alla tua porta.

Aprì e Davide entrò con una valigia.

– Hai detto tutto?

– Sì, ho parlato con i miei, ho detto tutto. Non puoi immaginare le storie che ha fatto mia madre. Ha iniziato a piangere, a supplicarmi, per poi prendersela con Raluca. “

– E tuo padre?

– Mio padre si è irrigidito al momento, scuotendo la testa, ma ho avuto una piacevole sorpesa in tutta questa vicenda. Quando mia madre ha iniziato a dar fuori di testa, l’ha guardata, con una sorta di disprezzo e pietà e mi ha sostenuto. Mi ha detto che a lui preme la mia felicità e che avrebbe chiamato un suo amico medico per curare personalmente Raluca.

Florentina corse tra le braccia di Davide, che la strinse forte a sé con le lacrime agli occhi.

– Piccola mia, noi ci vedremo presto. Sono passata dalla mamma, sai? Sta molto meglio. Ti ama tanto, Flori. Velia, ascolta, io sarò ospite da un amico per qualche giorno, ma sto cercando un appartamento in affitto. Poi, mi muoverò per prendere un mutuo, sono sicuro che mio padre mi aiuterà. Ti prego, prenditi cura di questa bambina. Ci vediamo domani, in ospedale. E se puoi, cerca di far ragionare mia madre. E’ piena di odio, di disprezzo, sono sempre più convinto che abbia plagiato mio padre, in tutti questi anni. L’ho sempre visto come un uomo squallido, borghese, senza cuore, ma mi rendo conto che era mia madre che lo soffocava. Ti chiamo domani. Ciao piccola!

Davide se ne andò, lasciando Florentina imbronciata. Velia si sedette sul terrazzino e guardava per strada, sperando di vederlo sbucare da un momento all’altro, ma non lo vide. Guardò il cielo e pregò intensamente Dio di aiutare tutte quelle persone, che aveva cominciato ad amare.

 

Capitolo 19

Lunedì: Visita

Il corpo di Emma fluttuava tra le acque, mentre i curiosi venivano allontanati dalle forze dell’ordine. Velia stringeva la bambina tra le braccia, guardando la giovane donna senza vita  e si chiedeva in nome di quale diabolica coincidenza, lo stesso giorno, alla stessa ora, la morte aveva portato via due donne. La vita di Raluca era terminata così, in un letto di ospedale, tra lo stupore dei medici che si aspettavano una pronta ripresa. Velia aveva il cuore gonfio di dolore: la bambina era rimasta sola, senza madre e per il momento se ne sarebbe dovuta occupare lei. Mentre pensava a quelle due morti assurde, sentì una risata agghiacciante e nella mente, solo per un attimo, vide il corpo di Roberto senza vita, con a fianco una scatola di farmaci. La risata continuava, vittoriosa ed angosciante  e Velia rabbrividì.

Si svegliò sudata  e si rese conto con suo sollievo che era stato soltanto un brutto sogno.

Velia aveva accompagnato Florentina a scuola e aveva informato le maestre dell’accaduto, pregandole di avere maggior cura di lei. Sarebbe andata a trovare Raluca alle 15.00, ma sarebbe stata una breve visita, perché Florentina usciva alle 16.10 da scuola e temeva di non fare in tempo. Aveva il forte istinto di andare alla Montagna Spaccata e lo seguì. Aveva il timore che quel sogno potesse in qualche modo avverarsi.

Lui era già lì, come immaginava e i turisti cominciavano il solito sali e scendi per visitare la grotta del Turco, anche se il maggior afflusso sarebbe cominciato a luglio. Non aveva più il giubbotto, ma una semplice camicia e il solito paio di pantaloni. Aveva una tristezza molto profonda nel cuore, tenace, che le aumentò nel vederlo.

– Velia, so che sei molto triste. Questo è l’ultimo giorno che ci vediamo.

– No, no, non posso accettarlo. Ti prego! Tu non puoi andartene, guarda quante persone devo aiutare e tu te ne vai nel bel mezzo di questo vortice. No, non lo accetto!|

 Velia scoppiò a piangere, noncurante delle persone che la osservavano.

– Andiamo in chiesa. Facciamo insieme la salita, va bene?

Velia lo seguì, con le lacrime agli occhi: non riusciva a concepire di non poterlo vedere, di dover aspettare la morte per potersi incontrare di nuovo con lui.

– Per favore. No, non lo accetto. Devi guidarmi, devi consolarmi, devi aiutarmi. Hai dato tu inizio a tutto questo. Per favore. Non posso restare di nuovo sola. No, non posso accettarlo!

 Entrarono in chiesa e si sedettero sulle panche.

– Velia, ascolta. Noi saremo sempre insieme, sempre. Io ti darò tutte le risposte che vorrai, potrai parlarmi sempre e ti risponderò sempre. Credimi. Solo dovrai imparare a distinguere la mia voce, ma vedo che ci riesci benissimo. E c’è la Messa, Velia. L’Eucarestia.

– Hai detto che la fine del mondo è vicina. Allora, se tu tornerai quando la fine del mondo è vicina, perché te ne vai?

– Velia, io non ho detto che me ne vado. Ho detto che è l’ultimo giorno che ci vediamo. E’ diverso. Ci sono tante altre persone che hanno bisogno di dare un senso alla propria vita, che hanno tanto amore da dare alle persone che soffrono. Tu sei pronta per camminare da sola. Qui, nel tabernacolo, c’è davvero il mio corpo, Velia. Io sono qui, in chiesa e  dovunque ci sia bisogno d’amore. La preghiera ti unirà sempre a me. Non all’idea di me, o alla mia energia, Velia. A me! Non piangere. Porta Emma dall’esorcista, ha avuto un brutto maleficio attraverso il cibo da una famiglia a cui la madre ha fatto molto male, riducendola sul lastrico e loro si sono vendicati su di lei. Sarà liberata dal maleficio. Con Roberto non insistere, altrimenti la madre si irrigidirà e non ti aprirà neanche la porta. Sappi che il suo tempo sta per finire e allora, per Roberto, cambierà tutto. Concentrati sul bene, vivi il bene, non perdere mai di vista la visione del bene. Guarda la croce, Velia  e ogni volta che la vedrai, ti ricorderai di quanto ti amo. Impara a sentire la mia presenza con la tua fede. Ora vai, devi passare da Emma. Non temere per il sogno di stanotte. Quello è il progetto del male. Non il mio.

Velia si alzò, lo guardò intensamente, represse le lacrime ed uscì dalla chiesa, con il vuoto nella mente  ma col sollievo nel cuore.

Chiamò il sacerdote che le era stato consigliato da padre Romolo e prese appuntamento per il giorno dopo, alle 11.

Ora doveva convincere Emma e  sapeva che non sarebbe stato facile.

Tornò a casa e bussò alla sua porta. Era ancora in pigiama, ridotta ad uno straccio.

– Se ne è andata? Che cosa è successo?

– Le ho detto tutto. Le ho detto che sono andata a letto con il suo uomo e che il figlio è del suo compagno, ma lui non lo sa. Ho mentito ovviamente, lui sa che il figlio è suo, ma naturalmente a lei non ha detto nulla. Si lasceranno, sicuramente. Le faccio schifo, non mi vuole più vedere e se ne va in un’altra città…Velia, che faccio ora? Aiutami?

La ragazza si buttò ai suoi piedi, fragile e disperata e Velia la prese dolcemente e la fece sedere.

– Emma, basta piangere. Basta. Quel che è stato è stato. Ascoltami, c’è la forte possibilità che tu abbia ricevuto un maleficio, una fattura, da persone a cui tua madre ha fatto del male. Ho parlato con un sacerdote, domani farà delle preghiere di liberazione su di te. Dobbiamo andare da lui. Non mi interrompere. Tutto quello che farai da ora in poi, sarà per il bene del bambino. Tutto. Quindi, niente se e niente ma. Poi andremo a parlare con una casa famiglia, e se non c’è posto, andrai in un istituto di suore.

-Tu sei pazza! Mi vuoi rovinare la vita? Ma che cosa vai farneticando?

In quel momento Velia si rese conto, come le aveva spiegato Gesù, che la ragazza, così come molte altre persone, aveva paura del bene, non del male.

– La vita non te la sto rovinando io, hai fatto delle scelte che ti hanno portato a trovarti in questa situazione e non mi sembri la tipa che reagisce, ma temo che passerai giorni interi a guardare il soffitto e a vomitare, finchè non ti sbatteranno fuori da casa, perché non hai soldi, neanche per le bollette, in quanto non ti sei mai degnata di trovarti un lavoro. E tuo figlio nascerà denutrito, perché non mangi e non stai andando neanche dal ginecologo, per un controllo. Non sei proprio in grado di dettare legge, Emma. Affatto. Smettila di piangere e reagisci. Adesso ti fisso un appuntamento per un controllo medico, farai tutte le analisi. Poi, vado a parlare con Antonella, dicendole che lascerai l’appartamento. Tu lavati e vestiti, usciamo a pranzo fuori. E niente storie.”

Velia uscì senza darle tempo di replicare. Il dolore che provava nel sapere che in quella vita non avrebbe visto più fisicamente Gesù le stava dando una forza nuova, spingendola ad agire con maggiore energia. Le bastava chiudere gli occhi, e sapeva che lui era lì, in quel momento vicino a lei e a tutti coloro che lottavano per avere una vita migliore, per uscire dal tunnel del male in cui la famiglia, o scelte sbagliate, li avevano rinchiusi.

Suonò da Antonella e si trovò davanti la brutta copia della donna che era venuta a trovarla: aveva gli occhi gonfi, rossi, e un’espressione distrutta sul volto. Tutto questo perchè suo figlio amava una donna non cattolica, non italiana e con una figlia..

– Posso?

– Vieni Velia, ti faccio il caffè. Mio figlio….

– So tutto. Sono molto felice per lui, Raluca è una donna meravigliosa.

– Ma come puoi…? Si vede che non hai figli!

– Perché tu che ne hai uno sei più saggia? Più sensibile? Dimmi, rispondi!!! urlò  il marito, che si era affacciato sulla porta della cucina.

– Mi scusi, non pensavo fosse a casa.

 Velia era  leggermente imbarazzata dalla sua presenza. Era un bell’uomo, alto, capelli brizzolati  e si rese conto che Davide, alla sua età, sarebbe stato come lui.

– Ci mancherebbe Velia. Anzi, sono contento che lei sia qui. Sono stufo di sentirla piangere, stufo dei suoi pregiudizi, stufo. E’ ora che accetti il fatto che nostro figlio non vuole farsi manipolare da nessuno, tantomeno dalla madre. Non ci riuscirai, con lui!

– Ma io ho sempre cercato di scegliere per il vostro bene!

– Sì, seduta davanti alla televisione e decidendo cosa fosse meglio per noi. Non funziona così, la famiglia non è una psicosetta. Se Davide avesse avuto una madre normale, ce ne avrebbe parlato sin dall’inizio, invece di vedersi di nascosto con quella donna. Ora se ne è andato e spero che un giorno tornerà. Fatti un bell’esame di coscienza, ne hai bisogno, anzi  ne abbiamo bisogno tutti!

– Sergio, non lasciarmi, ti prego!

– Ho accettato di partecipare al corso e non ho nessuna intenzione di rinunciare, starò via un mese, non casca il mondo. Velia, io farò un corso di aggiornamento a livello informatico e bancario, andrò fuori città e dormirò là. Grazie per quello che sta facendo per la compagna di mio figlio, spero FUTURA MOGLIE! - disse alzando la voce e guardando la donna. Velia provò un’infinita pena per lei ed uscì da casa, sentendosi di troppo.

Quante lacrime, quante scelte difficili, quanti attimi in cui si decide il futuro non solo proprio ma specialmente quello degli altri. La vita era un intero processo di guarigione e di liberazione da schemi e paure che ne sostenevano l’impalcatura. Crollate le proprie certezze, non restava che adattarsi o crollare insieme ad esse. Comprendeva perché molte persone preferivano crogiolarsi nell’inconsapevolezza di una monotonia quotidiana piuttosto che affrontare i problemi e guarire: la cura poteva essere più dolorosa del male stesso.

Vittime che subiscono, o protagonisti del proprio destino? Esisteva davvero un momento in cui si potevano cambiare le sorti della propria vita? Guardando la coppia,Velia  era sempre più sicura che il confine tra scelte subite ed imposte era molto sottile.

 

 

E così sia….

Velia, dopo le opportune analisi e controlli, aveva avuto il permesso di assistere al parto di Emma. La ragazza aveva iniziato le doglie alle ore 12.00 e e con l’ossitocina iniettata dalle flebo, i dolori erano più frequenti di quelli che madre natura le avrebbe dato.

Erano trascorsi sei mesi da quando Emma era andata via da casa: aveva avuto un incontro con il sacerdote esorcista, che l’aveva aiutata a liberarsi di quel maleficio. Emma non aveva avuto il permesso di assistere, anche se non era un caso di possessione diabolica, ma seppe che la ragazza  aveva vomitato un groviglio intrecciato di capelli e cibo non identificabile. Velia non riusciva a credere ai suoi occhi, le era impossibile pensare che una persona si potesse sedere  a tavolino e decidere,   volontariamente e razionalmente, di fare del male a qualcun altro, specie a una ragazzina, perché Emma al tempo del maleficio aveva sui dodici, tredici anni al massimo. Era un mondo completamente nuovo per lei e si rese conto quanto, nel nome di Gesù, si potessero aiutare le persone a liberarsi da perversi meccanismi che avevano il potere di rovinar loro la vita.  Tutto questo nel suo nome. Si rese veramente conto di quanto Gesù guarisse, curasse e continuasse a salvare vite, ininterrottamente, da oltre 2000 anni.

Il sacerdote le spiegò con molta calma e dolcezza il pericolo di tali pratiche e le disse anche che la chiesa andava cauta con tali problematiche, perché c’era sempre il pericolo di cadere nella superstizione. Molte persone che si rivolgevano a loro avevano in realtà disturbi psichici che andavano affrontati a livello medico, ma purtroppo non erano rari casi di vittime di fatture e malefici. In tal caso era indispensabile l’intervento del sacerdote esorcista, per sradicare il male all’origine. Emma chiese al sacerdote se vi fosse stata speranza per sua sorella, ma il sacerdote la guardò tristemente e non le rispose. Velia intuì che queste persone erano talmente abituate a manipolare la vita degli altri in maniera così subdola e malvagia, che difficilmente avrebbero rinunciato a quel potere. La sua salute migliorò rapidamente ed Emma nel frattempo si trasferì nella casa famiglia che le aveva trovato padre Romolo. Era gestita da una suora che veniva dall’Uruguay e da un gruppo di volontari tra cui due donne, dolcissime ma molto ferme e severe,  che vivevano lì, insieme agli ospiti. Funzionava anche come centro diurno, accogliendo i figli delle donne che lavoravano tutto il giorno e che non potevano permettersi un aiuto in casa. Emma infatti si diede subito da fare, aiutando nel pomeriggio i ragazzi con i compiti.

Ed ora era lì, pronta ad accogliere quella bambina che ancora non si decideva ad uscire. Non aveva scelto il nome, lo avrebbe deciso quando l’avrebbe vista in volto.

Velia pregò Gesù di aiutarla e fu in quel momento che accadde qualcosa che non si sarebbe mai aspettata, quello che Velia definì un vero e proprio miracolo, un segno che qualcosa di nuovo stava cominciando. Emma disse a Velia che una sorta di calore le stava salendo dal basso verso l’altro e non sentiva più le contrazioni.

Respirava a fatica, ma sentiva ogni fibra del suo muscolo distendersi e contrarsi senza alcun dolore.

Velia le teneva la mano e l’ostetrica la visitò: decisero di portarla subito in sala parto, perché improvvisamente il parto si era aperto al massimo e la bimba era pronta per nascere.

– Velia, non sento più dolore, cosa sta succedendo? -chiese Emma preoccupata.

– Tutto bene, tesoro, andiamo, andrà tutto bene!

– Velia, non sento niente, è bellissimo, è una specie di calore meraviglioso, pieno di amore. Oddio Velia, ma che cosa mi sta succedendo?

Passarono dalla sala travaglio alla sala parto e Velia cominciò ad intuire.

Mentre lo staff sanitario aiutava Emma a partorire, Velia sentì queste parole risuonare nel suo cuore: “Partorirai con dolore.”

Era l’effetto del male, del peccato degli albori dell’umanità. Prima non era così, il parto era sicuramente un’esperienza gioiosa e per niente dolorosa. Così l’aveva voluto Dio: due anime  si incontrano, si uniscono completandosi, nella totalità dell’amore fisico e spirituale  e nasce, nella gioia, una nuova vita. Il tutto era stato sporcato ed inquinato dal male, dal possesso, dall’uso dell’altro come oggetto di piacere,  dal dolore, come un corpo che si allontana dal fuoco e trova solo buio e gelo.  L’amore non era nato come dominio, rifiuto, umiliazione, ma come legame di due anime da cui non poteva non nascere Amore. L’umanità era in procinto di entrare in quella fase che da sempre Dio aveva voluto per i suoi figli: non più lacrime, non più dolore né lutto, ma solo gioia e pace. Questo perlomeno sarebbe accaduto a chi accettava di farsi guidare da Lui. Velia non riusciva a comprendere appieno la portata di quell’evento, ma era sicura che fosse così. Lo sentiva dentro di sé, ma sapeva anche che nulla le avrebbe dato gioia se non in Lui. Riusciva a percepire appena il grande mistero del Regno e vedeva in quella nascita come una nuova alba per l’umanità.

La bambina uscì senza alcuna fatica e i medici guardavano increduli Emma, che pur avendo le contrazioni, non emetteva neanche un grido ma sorrideva felice.

Velia, appena vide la bambina pensò ad alta voce il nome Eva, ma si rese conto che lei e la ragazza lo avevano pronunciato insieme, nello stesso momento.

Velia capì l’importanza di quel segno e ne rimase turbata e felice allo stesso tempo. Quando scesero, prima la figlia e poi la madre, tutti si avvicinarono al lettino, prima che la bambina venisse portata nella nursery.

Florentina guardò  estasiata  quella creatura e cominciò a piangere commossa,  stringendosi alla madre. Raluca la abbracciò, e la figlia calmatasi, guardò  la madre negli occhi e  disse: – Che bella bimba , mamma!

Raluca e Davide si guardarono stupiti: Florentina aveva parlato! Un altro miracolo era avvenuto, quel giorno. Non riuscivano  a credere alle loro orecchie e si abbracciarono, commossi, mentre Velia era ancora stordita da quella serie di avvenimenti. Guardò Florentina illuminarsi e cominciare a parlare senza fermarsi, dicendo che avrebbe comprato tanti regali alla bambina mentre  Raluca piangeva commossa, stringendosi a Davide. Velia sentiva il suo cuore impazzire dalla felicità e si unì commossa alle lacrime della donna. Eccola, l’onda d’amore. Era partita tempo prima, ed ora stava investendo tutti, bambina compresa. Niente giudizio, niente odio, niente muri, ma solo il Bene incondizionato aveva permesso che le vite di quelle persone cambiassero.  Il sogno malefico che aveva fatto Velia non si era avverato. Se non avessero accolto il bene offerto loro quelle vite sarebbero  rimaste ferme su rigidi binari decisi dalla paura e dal pregiudizio, ed infine dalla disperazione e dalla morte e quell’ondata di gioia non avrebbe potuto espandersi per cambiare ogni cosa.

 

Come in cielo come in terra.

Roberto aveva organizzato una cena a casa sua.

Era irriconoscibile: completamente ristrutturata, luminosa, con mobili e tende nuove. La madre, come aveva detto Gesù, era morta poco dopo e Roberto, rimasto solo, si era deciso a dare una svolta alla propria vita, spenta e immobilizzata da anni.

Clara e Pedro si stavano dando da fare in cucina per preparare una tipica cena argentina e l’aroma che si era subito diffuso nell’aria era promettente. Clara somigliava molto a Roberto, mentre Pedro disse di essere uguale a sua madre. La donna non si era sentita di affrontare il viaggio, sia per problemi di natura fisica sia perché era imbarazzata nel conoscere quel figlio che neanche il suo compagno aveva saputo di avere, se non anni dopo. E Roberto, grazie a Velia, aveva avuto il coraggio di contattare i suoi fratellastri e di invitarli in Italia, spiegando loro in breve il perché non potesse venire lui in Argentina.

Si era trovato davanti due persone speciali: gioiose, sorridenti, lo avevano accolto e abbracciato da subito con amore e nel loro italiano stentato, gli avevano trasmesso positività e fiducia. Roberto fu sorpreso nello scoprire che i due erano persone impegnate nella catechesi e nella evangelizzazione, molto attivi nella loro parrocchia, caritatevoli e disponibili, che avevano messo Gesù al centro della loro vita. Velia, nel sentirli parlare, aveva avuto un sussulto profondo e si era commossa. Vedeva in loro trasparire quell’amore che pian piano era stato seminato in lei e che era sbocciato in tutto il suo splendore da quell’incontro personale e speciale con il suo Salvatore.

Ringraziavano sempre Gesù, per ogni cosa. Parlavano continuamente di Lui, di come avesse cambiato le loro vite e per Velia fu un ulteriore conferma dell’esistenza di una fratellanza universale legata dal profondo amore per Lui.  Perché era questo che il mondo non capiva: per incontrarlo bisognava togliere il sipario che ci separa da Lui. E chi ci riusciva vedeva cambiare la propria vita, radicalmente. Velia si ripromise di contattare una comunità parrocchiale  dove poter crescere nella fede. Aveva bisogno di stare in compagnia di persone che lo amavano e lo avevano sperimentato nella propria vita. Roberto camminava lentamente con le sue stampelle ed era un delizioso padrone di casa, felice di avere l’intera palazzina a cena da lui. Velia era sicura che i fratelli lo avrebbero aiutato a riscoprire le radici della sua chiamata, il valore della sua vocazione e magari, (Velia se lo augurava di cuore), a tornare al sacerdozio. 

Rachele era venuta dalla nipote e stava aiutando Clara a preparare la cena.

Antonella teneva Eva in braccio e la coccolava in continuazione, ma Florentina, gelosa, cercava di mettersi in mezzo, per non fargliela toccare. Era una famiglia apparentemente devastata agli occhi del mondo, eppure l’Amore di Dio era riuscito a penetrare in quello scorcio di vita fatto di inganni e tradimenti.

Sergio era andato via poco tempo dopo la decisione del figlio di andare a vivere con Raluca. All’inizio si era allontanato per il corso di aggiornamento, ma in seguito  aveva chiamato la moglie dicendole che sarebbe rimasto a lavorare in una filiale del nord Italia per un periodo non ben definito e che ne avrebbe approfittato per prendersi una pausa di riflessione. Non era più tornato. Velia capì allora tutto quello che era successo in quella casa. Capì che Sergio era il famoso amante della sorella di Emma nonché il padre di Eva e che l’uomo in realtà si era trasferito per poter vivere con la sua donna. Aveva deciso di parlarne con Emma e pregarla di dirle la verità, ma non dovette faticare molto a convincerla. La ragazza era scoppiata in lacrime e le aveva confessato tutto. Velia la pregò di raccontare la verità ad Antonella per non illuderla, per aiutarla a non sognare più un ritorno che non sarebbe mai avvenuto. A Sergio non interessava più vivere con una donna che non amava e non voleva quella figlia. Era stata la debolezza di un momento e quando aveva visto che la sua amante era andata via, capì che non poteva vivere senza di lei. Emma si era rifiutata all’inizio di infliggere questo dolore alla donna, ma poi capì che era l’unico modo per ricominciare a vivere in maniera dignitosa, pulita, senza più ombre né segreti. La donna rimase sconvolta da tutto quello che Emma le aveva raccontato, ma stranamente, non reagì in maniera plateale. Il dolore l’aveva schiacciata, ma la stava anche forgiando, plasmandola alla compassione, al perdono, all’accettazione di una realtà che aveva sempre fatto finta di non vedere, trincerandosi dietro pregiudizi e perbenismi, in cui ormai non credeva più. Non riuscì a credere all’inizio, che quella bambina fosse di suo marito e Velia era sicura che non avrebbe perdonato quella girandola di inganni  che la vedevano al centro di tante bugie.

Antonella passò lunghi giorni da sola in casa, con le finestre chiuse, tanto che Velia era seriamente preoccupata che tentasse il suicidio. Poi, uscita dal suo guscio di dolore e vergogna, prese una serie di decisioni che avrebbero lasciato tutti di stucco.

Pregò suo figlio Davide di tornare nella casa dove Raluca aveva sempre abitato: non avrebbe preso i soldi dell’affitto, lo avrebbe considerato un regalo di nozze, a patto che i due si sposassero al più presto e la coppia accettò di buon grado.  Raluca si era ripresa perfettamente dal leggero ictus che l’aveva colpita e si decise a smettere di fumare e a seguire una dieta sana e naturale. Velia sapeva che quell’episodio era stato la molla decisiva per farle scegliere la strada dell’Amore e non si sarebbe ripetuto mai più.

Emma viveva ancora nella casa famiglia e Antonella le disse che poteva tornare nel suo appartamento e le avrebbe ricominciato a pagare l’affitto non appena si fosse potuta permettere un lavoro. Decise inoltre di aiutarla con la bambina, perché era comunque la sorella di suo figlio, anche se frutto di una situazione così torbida e fondamentalmente malvagia, ma era sicura che la piccola Eva avrebbe guarito, con il suo sorriso, tutte le ferite delle persone che le stavano ruotando intorno. Il miracolo di Florentina ne era l’esempio. Antonella accettò di essere un punto di riferimento per la ragazza, perdonò il tradimento e si propose per lei come figura d’appoggio della sua vita. Emma non riusciva a credere che la moglie dell’amante di sua sorella, nonché del padre di sua figlia potesse avere un ruolo così forte nella sua vita, grazie al perdono e all’amore di cui si stava dimostrando capace e si rese conto che Antonella era l’ultima persona nella sua vita a cui avrebbe chiesto aiuto, ma evidentemente tutto ciò che ci arriva di buono, nel segno dell’Amore, non ha sempre la fonte che ci aspettiamo ed Emma accettò di essere aiutata da una persona che aveva sempre detestato. Per Velia tutto quello che stava accadendo aveva dell’incredibile: non tanto adulteri e tradimenti che ormai nella società erano all’ordine del giorno, ma proprio il perdono dimostrato dalla donna, che aveva dato una svolta diversa alla vita di tutti loro. Era stato il cambiamento di Antonella a darle la percezione chiara di cosa fosse un miracolo. E sapeva a chi attribuirlo. Lui non voleva miracoli senza il loro aiuto, e loro  non potevano nulla senza di Lui.

 

Clara e Pedro entrarono in sala da pranzo con le prime portate, sorridenti e chiassosi: Velia si guardò intorno ed ebbe, per un attimo, la sensazione fortissima che il tempo si fosse fermato. Era un quadro, una scena statica eppure vibrante. Ognuno occupava il suo posto, in armonia con il resto dei presenti. Velia vide la perfezione, in ogni singola persona: Antonella, con la piccola Eva in braccio, Florentina seduta vicino a lei, Davide in piedi vicino alla finestra, Raluca ed Emma che sedevano accanto, sua zia Rachele che chinava il capo in preghiera, Roberto seduto a capotavola sorridente, Chiara e Pedro in piedi, con i vassoi in mano.

Velia ebbe l’istinto di contare tutti i presenti: erano 11 persone, lei compresa. Florentina guardò davanti a sé e spalancò gli occhi in uno sguardo di sorpresa: Velia si girò e lo vide. Luminoso, splendente, ospite d’onore in una cena perfetta, proprio perché organizzata da Lui. La piccola Eva si girò e sorrise anche lei all’Uomo Dio che solo loro tre vedevano. Velia si sedette, felice. Florentina sapeva che anche Velia lo aveva visto e corse ad abbracciarla. Ora erano in dodici, con lui. La cena poteva cominciare.

 

 

 

Pubblicato da Anna

Da sempre impegnata nella pastorale, catechista, mamma e studiosa di teologia spirituale e di cultura cattolica, la Vergine Maria mi ha insegnato ad amare il silenzio, la preghiera, ed a conoscere meglio suo Figlio Gesù. Consacrandomi a Lei, mi sono incamminata sulla strada che porta al suo Cuore Immacolato: nella fede cattolica, la ferma certezza che le porte degli Inferi non prevarranno contro la Santa Chiesa.