Madonna del Diluvio delle Grazie, Monterotondo

DALL’OPUSCOLO PREPARATO DALLA PARROCCHIA SANTA MARIA DELLE GRAZIE – MONTEROTONDO (è stata omessa la prefazione)

Cenni storici

Della chiesa di S. Rocco si conosce solo la data del suo ampliamento negli anni successivi al 1560, per il resto si deve ricorrere a delle fonti che accennano ad una cappella preesistente fatta costruire dal Comune presumibilmente verso la metà del 1400. Infatti questa chiesa non viene menzionata nella Visita Pastorale del vescovo di Sabina Francesco Lando nel 1427. Altresì non conosciamo i motivi o i committenti dell’opera, né quando è stato installato il quadro della Vergine in detta cappella che, secondo gli esperti, risale alla seconda metà del 1400. Padre Giuseppe da Monterotondo, nella sua operetta “I santuari della Vergine in Sabina”, scrive: “Circa la fine del I secolo decimoquinto cominciò a riscuotere in Monterotondo venerazione particolare una devota immagine della Madonna la quale, collocata a breve distanza dalla principale porta del paese…cominciò ben presto a far piovere sui supplicanti tale un diluvio di grazie e di benedizioni, che tutti unanimi convennero di chiamarlo con l’espressivo titolo di Maria SS. del diluvio delle grazie. E poiché la chiesuola, ove fino allora aveva riscosso gli omaggi dei devoti eretini, era divenuta angusta a capire la frequenza di popolo, sulla fine del secolo decimoquinto se ne fabbricò un’altra nel luogo stesso, più ampia e capace“. (Vicario Salvatore, La Nomentana. Strada di Roma per la bassa Sabina, Monterotondo 1994, p. 140). Anche il nostro concittadino, don Alberto Giovannetti conferma questa notizia e fra l’altro scrive: “Dai documenti storici in nostro possesso non è dato trarre elementi di giudizio sufficienti a definire con certezza il tempo in cui ebbe origine fra il nostro popolo il culto della SS.ma Vergine sotto il titolo di Madonna del Diluvio delle Grazie. (GIOVANNETTI don ALBERTO, In onore della Madonna del Diluvio, Roma 1945, pp. 5-6). Quando l’affluenza dei fedeli aumentò al punto da rendere angusta la cappella di S. Rocco, nella seconda metà del 1500 un gruppo di devoti operai che lavorava nelle vicine cave di travertino per conto della Fabbrica della Basilica Vaticana volle fabbricare di sua iniziative, anche con il generoso concorso dei cittadini di Monterotondo, un più ampio e più onorato tempio nello stesso luogo del primo. La nuova chiesa sostanzialmente risulta essere quella che esiste attualmente. Intanto continuava a diffondersi anche verso l’esterno la fama della miracolosa immagine, con la conseguenza che accorreva gente a venerare la Vergine Maria del Diluvio delle Grazie dai paesi vicini e da Roma. Questo nuovo tempio però non poteva essere abbandonato a se stesso, per cui con il consenso della Comunità di Monterotondo, nel 1627 il cardinale Carlo Madruzio, Vescovo di Sabina, giudicò conveniente affidare la chiesa di S. Rocco alla venerabile Compagnia dell’Orazione e Morte, chiamata anche Compagnia del Sacco Nero, che assunse l’impegno di custodire il pio luogo e di assicurare la continuità e la dignità delle sacre funzioni, a maggior gloria di Dio e a maggior venerazione della miracolosa immagine. Fu introdotta la festa della Purificazione di Maria, le Quarantore due volte l’anno, l’esposizione del Santissimo ogni seconda domenica del mese, l’Ufficio Divino cantato in tutte le feste dell’anno e la recita quotidiana del S. Rosario. Successivamente con i ricchi doni, ex voto, le oblazioni e i lasciti di pii benefattori, che avevano beneficiato dei tanti miracoli della Vergine, fu reso possibile alla Confraternita di avere un Cappellano perpetuo con residenza stabile accanto al Santuario. Di tutti questi doni ed ex voto, oggi, dobbiamo purtroppo lamentarne la perdita e non ne conosciamo i motivi. A tale proposito riportiamo una frase scritta nel 1934 da un anonimo Confratello dell’Orazione e Morte in Monterotondo su un libretto di memorie e preghiere, con l’Imprimatur del Vescovo di Sabina e Poggio Mirteto S.E. Federico Emanuel, stampato dalla tipografia Ottaviano Ferriani di Monterotondo: “…grazie e prodigi di cui aperta testimonianza sono le tante votive tabelle, i cuori di argento e di oro, i doni e le offerte d’ogni fatta, che tuttora si ammirano nella chiesa, e più per l’addietro si ammiravano“. (Anonimo confratello dell’Orazione e Morte, In onore della Madonna di San Rocco, Monterotondo 1934, p. 6). Nel 1652 un membro della famiglia Rossetti (oggi scomparsa), ornò l’immagine di una ricca cornica, inoltre, con le offerte dei fedeli, nel 1703 si fece fondere un prezioso diadema d’argento da porre sul capo della Vergine. Un cittadino monterotondese, Angelo Agostino Mattei, in una memoria scritta e pubblicata prima del 1837, fa un lunghissimo elenco di miracoli dei quali hanno beneficiato soprattutto i monterotondesi: storpi risanati, ossessi liberati, infermi guariti, persone in pericolo salvate. Forse, però, l’eco più vasta fra il popolo è dovuta alla benevolenza della Madonna verso Monterotondo nelle pubbliche calamità, come testimoniano gli atti del processo autorizzato nel 1756 dal cardinale Valenti Gonzaga, vescovo di Sabina. Il processo fu affidato all’arciprete della collegiata di Monterotondo, S. Maria Maddalena, il vicario foraneo don Cesare Bianchi. Nel contagio del 1656, durante il pontificato di Alessandro VII, la peste si propagò per tutto lo Stato Pontificio, fino a tutto l’Agro romano. Secondo le stime riportate dalla cronaca, nella sola Roma morirono 22.000 persone e rica 160.000 nel restante Stato Pontificio. Solo Monterotondo, fra tutti i paesi vicini a Roma, scampò miracolosamente alla pestilenza, mentre a Mentana, distante appena due chilometri, essa fece molte vittime. Durante questo periodo i cittadini, quasi a turno, si alternavano notte e giorno in preghiera davanti alla Madonna del Diluvio delle Grazie. Viene riportato anche un altro episodio avvenuto in questo periodo. Secondo le testimonianze si diceva che padre Giuseppe Gessi da Borghetto di Civita Castellana in provincia di Viterbo, religioso dei Frati Minori Conventuali nel convento della Santissima Concezione in Monterotondo (l’attuale S. Maria delle Grazie), fosse stato visto passare le notti in preghiera davanti all’immagine della Madonna di S. Rocco, mentre i monaci asserivano che padre Giuseppe nello stesso tempo si trovava in preghiera nella chiesa del convento. Lo stesso padre Giuseppe dichiarò di aver avuto una visione soprannaturale: un cavaliere di gran carriera si dirigeva verso Monterotondo venendo dalla parte di Mentana con in mano un flagello, tentava di entrare a Monterotondo per contagiarla di peste, mentre la Beata Vergine del Diluvio delle Grazie, assistita da S. Rocco, gli pribiva risolutamente l’ingresso nel paese, facendolo ritornare indietro. Però non solo gli abitanti di Monterotondo scamparono alla peste per intercessione della Vergine, ma anche quelli che, pur trovandosi lontani, si rivolsero a Lei con gli occhi della fede e con la preghiera. E’ quello che accadde alle monache del monastero di S. Chiara in Roccantica, le quali piene di paura per il morbo che continuava a mietere vittime, si rivolsero con preghiere alla Beata Vergine del Diluvio delle Grazie, fiduciose nella sua fama miracolosa. Nessuna suora fu contagiata. Lo stesso accadde al dottor Giovanni Battista Jacobelli di Monterotondo, in quel tempo dimorante a Roma. Il dottor Jacobelli vide cadere davanti a lui, colpito dalla peste, il barbiere che lo stava radendo. Temendo di contagiarsi anche lui, ma pieno di fiducia nella Madonna, fece voto per lui e per i suoi familiari alla Beata Vergine del Diluvio delle Grazie. Di questa famiglia, nessuno morì! Altro episodio avvenne nel 1703, durante i gravi terremoti che colpirono tutta la penisola e causarono rovine e danni in diverse parti d’Italia, a Roma e nei dintorni. Anche in questa occasione il popolo di Monterotondo si rivolse con devozione, come era suo costume, al patrocinio della Madonna, moltiplicando le preghiere e raccogliendo elemosine. I terremoti cessarono e i monterotondesi non lamentarono alcuna vittima e danno alle abitazioni. A riguardo il mattei nel suo compendio riporta: “né persona perì, né un solo trave fu smosso“. Come a suggello della petizione del popolo monterotondese e del processo condotto da don Cesare Bianchi, la Vergine volle dare il suo assenso con uno stupendo prodigio: l’istantanea guarigione di una monaca, suo Teresa Maddalena, del monastero carmelitano della SS. Trasfigurazione in Monterotondo (convento del Monte Tabor dell’attuale via Ricciotti), avvenuto la mattina del 9 marzo 1762. Riportiamo alcuni brani della dichiarazione, sotto giuramento, della stessa suora: “Io suor Teresa di Gesù Nazzareno attesto, mediante anche il mio giuramento, come ritrovandomi confinata in letto con il reumatismo e dolori eccessivi in tutte le ossa, che non potevo muovermi ne voltarmi pel letto, ed ero costretta a gridare con un lagno continuo; mi sentivo poi un male interno che non potevo mangiare, …Ogni sera mi veniva una febbretta che a poco a poco mi andava consumando…ed esciva dal mio corpo tal fetore, come mi hanno detto adesso le religiose, che non potevano stare lungamente con me. Vedendomi così addolorata e afflitta, una consorella mi disse che mi raccomandassi di cuore alla Madonna SS.ma del Diluvio, che si venera in questa terra nella chiesa di S. Rocco, la quale fa molti miracoli; …La mattina delli 9 detto, ricevendo la santissima Comunione, pregai Gesù con molto affetto che mi avesse in quel giorno stesso sanata. Ed io m’intesi nell’interno che il Signore voleva dare questa gioia alla sua Santissima Madre, con una fede assai viva che toccandomi io con quella immagine subito mi avrebbe fatta la grazia, tanto più che si aveva da incoronare. Ed io con quella fede viva me la misi (la immagine) sopra le ginocchia e le dissi: “Madonna mia Santissima, voi questa mattina mi avete da fare la grazia”. Intanto principiai a raccomandarmi a tutti quei santi ai quali in quei cinquanta giorni avevo chiesto la grazia e li pregano che loro supplicassero la Madonna Santissima che mi facesse allora levare di letto e cominciai a sentirmi alleggerire il dolore dalle ginocchia. Intanto dissi nove Salve Regina e andavo mettendo nelle parti del dolore la immagine, e come l’andavo posando così andavano partendo li dolori…In quel punto venne il medico, e io gli andai incontro dicendo a lui e a tutti che la Santissima Vergine mi aveva guarita, e per essere di mattina volli andar a Messa giù in coro, finita la quale io e tutta la comunità cantammo il Te Deum di ringraziamento di un miracolo così stupendo con tenerezza di tutte“. Grande fu la commozione a Monterotondo per questo miracolo della Vergine Santissima. Il 21 febbraio 1765 il cardinale Gianfrancesco Albani, vescovo di Sabina, sottoscriveva una solenne dichiarazione, nella quale si riconosceva ed approvava il processo condotto dall’arciprete don Cesare Bianchi. Detto decreto era scritto in latino, di cui si riporta un brano tradotto: “Avendo il popolo dell’illustre terra di Monterotondo, nella nostra diocesi di Sabina, fatto istanza affinché vengano dichiarate le grazie e i miracoli operati da Dio per intercessione della Beata Vergine Maria, la cui antichissima immagine è venerata nella chiesa di San Rocco fuori le mura della stessa contrada, con lo scopo di poter ottenere in processo di tempo l’incoronazione della venerata antichissima immagine. Noi, invocato il nome di Cristo e diligentemente esaminato il processo compilato in merito per autorità del predecessore, dell’arciprete dell’insigne Chiesa collegiata della stessa terra di Monterotondo; tenuto presente quanto da considerarsi in simili congiunture: con questa nostra sentenza dichiariamo, decretiamo, pronunciamo, e sentenziamo che consta, al fine di cui sopra, delle grazie e dei miracoli, di cui è stato cenno. E nel nome del Signore concediamo al popolo che ne ha fatto istanza, la facoltà di chiedere, dopo aver osservato quanto di dovere, la solenne incoronazione della stessa antichissima immagine della Beata Vergine Maria. Dato fuori porta Flaminia il 21 febbraio 1765. F.to Giovanni Francesco Albani, Vescovo di Sabina“. (GIOVANNETTI don ALBERTO, In onore…op.cit., pp. 17-18) Questo decreto, presentato in forma legali ai canonici vaticani, riuniti in capitolo, nella solenne adunanza del 29 aprile ottenne dai medesimi l’incoronazione della Madonna del Diluvio delle Grazie. Il decreto iniziava: “Capitulo diei 29 Aprilis 1765 decretum est, ut aureo Diadema redimeretur Beatissimae Mariae Virginia antiquissima Imago, quae colitur in Ecclesia S. Rochi extra moenia Terrae Montisrotundi...” (MARCHETTI don BRUNO, Guida storico artistica, Monterotondo 981, p. 46: “Nel Capitolo del giorno 29 Aprile 1765 si decreta che l’antichissima immagine della Beata Maria Vergine, che è Venerata nella chiesa di S. Rocco fuori le mura della terra di Monterotondo, sia rivestita con un diadema d’oro…”). Don Alberto Giovannetti scrive: “Il costume di coronare le sacre immagini è antico nella chiesa, risale alla prima metà del 1600, fu il conte Alessandro Sforza Cesarini che assegnò al Capitolo di S. Pietro in Vaticano una sufficiente rendita da convertirsi in ricche corone d’oro da destinarsi a quelle immagini della Vergine che, con prove legali, constassero essere delle più celebri per antichità di culto, e per copia di grazie e di miracoli compartiti ai fedeli“. La Confraternita dell’Orazione e Morte fissò la data dei festeggiamenti il 2 giugno 1765, giorno della festa della SS. Trinità. Sia in Monterotondo che nei paesi vicini furono raccolte offerte per celebrare degnamente il solenne avvenimento. In previsione che la chiesa di S. rocco sarebbe stata troppo piccola per accogliere la moltitudine dei fedeli, fu deciso di svolgere la solenne cerimonia dell’incoronazione nella Collegiata di Santa Maria Maddalena. Don Scipione Grillo, undicesimo Duca di Monterotondo, che esercitava il diritto di patronato sulla chiesa, diede il suo benestare per l’eccelso onore di ospitare in una chiesa di suo patronato una così venerata immagine e mise a disposizione il palazzo ducale per il ricevimento, per il soggiorno della Delegazione Capitolare Vaticana e per i festeggiamenti, affinché la festa in onore di Maria SS. protettrice del suo Ducato potesse riuscire nel miglior modo possibile. Riportiamo quanto è stato scritto riguardo i festeggiamenti: “Nella Chiesa di S. Maria Maddalena, sfarzosamente addobbata con damaschi e velluti cremisi e illuminata da innumerevoli lampadari si celebrò, in preparazione della solennità, un sacro triduo, con musiche solenni al mattino e ai vespri: Illustri oratori si avvicendarono sul pulpito a tessere le lodi della Vergine, mentre alle sacre funzioni facevano seguito gioiose manifestazioni di popolo con luminarie, concerti e spari. L’immagine della Madonna era stata portata dalla sua chiesa a quella dove si doveva procedere alle solenne cerimonia, recata a braccia dai membri del locale clero secolare, seguito dalla delegazione vaticana, dal clero regolare e dall’intera cittadinanza con a capo le autorità civili. Nel giorno sacro alla Trinità, Mons. Varesi, canonico di San Pietro, pose sul capo della Madonna, fra il tripudio della moltitudine, la corona d’oro, dono del Capitolo. A ricordo del fausto avvenimento fu distribuito a tutti i fedeli un bell’esemplare della miracolosa immagine, che in molte case è stato conservato al posto d’onore”. (GIOVANNETTI don ALBERTO, In onore…, op. cit., p. 19). Da quel giorno la Vergine del Diluvio delle Grazie ha continuato ad elargire i suoi favori verso quanti hanno fatto a Lei ricorso. Fra le tante intercessioni riportiamo ciò che avvenne il 12 settembre 1799, quando una nebbia insolita per il nostro paese, durata ben 14 ore, risultò provvidenziale, perché nascose il castello alla vista delle truppe francesi di Napoleone che marciavano alla conquista di Roma e permise alle truppe pontificie che alloggiavano a Monterotondo di evacuare, evitando così una battaglia che avrebbe coinvolto anche l’inerme popolazione. Le preghiere che i monterotondesi rivolsero alla Madonna del Diluvio nel 1884, quando in tutta la penisola inferiva il morbo del colera, fecero si che nel nostro paese non ci fosse alcuna vittima. Non si può tacere l’affluenza delle mamme e mogli alla chiesa di S. Rocco durante la prima guerra mondiale, quando i loro figli o mariti partirono per il fronte portando al collo la medaglia benedetta della Vergine o la sua immagine nel portafoglio.

Dai nostri predecessori sono state tramandate tante altre grazie ottenute per intercessione della Vergine: donne che avevano visto allietato dalla maternità il loro grembo sterile oppure il placarsi di disagi o di rancori familiari, bambini sanati o rinsaviti. Anche i contadini che provenivano dalle campagne della Costa e Monteciafrone, da San Martino e Montedoro, da Lo Scoppio e Pratone, quando la sera ritornavano dalle loro vigne, prima di andare a casa, lasciavano la vanga o la zappa o l’irroratrice alla porta della chiesa ed entravano e con le loro mani callose congiunte in preghiera imploravano la Madonna, affinché mandasse il sereno per far maturare i frutti o la pioggia nei periodi di siccità o tenesse lontana la grandine delle vigne.

A ricordi di tutti i prodigiosi interventi, i monterotondesi, molti dei quali avevano assistito alle solenni celebrazioni del 1765. vollero celebrare nel 1815 il cinquantenario dell’incoronazione della Vergine del Diluvio. Per motivi politici i festeggiamenti furono spostati all’anno successivo e fu scelta la festa dell’Assunta per rievocare la solennità dell’incoronazione.

Il Mattei, questa volta testimone oculare dell’evento, ce lo descrive.

Ad essa fu premesso un solenne triduo con scelta musica con panegirici, con corse di cavalli, con fochi artificiali, con processioni solenni.

La celebrazione se non superò nella solennità la stessa Incoronazione del 1765, venne certamente quasi a pareggiarla nell’esterne dimostrazioni che gli Eretini, graditissimi alla loro Madre, fecero in quel triduo faustissimo; ma si la superò nella gioia del loro cuore, nella gara con cui concorsero con elemosine alla sacra funzione, nell’intima devozione e singolarissima letizia di spirito con cui celebrarono il detto solennissimo triduo“. (GIOVANNETTI don ALBERTO, In onore…, op. cit., p. 21).

Solenni festeggiamenti si ripeterono dal primo al sette maggio del 1865, per celebrare il primo centenario dell’Incoronazione. La cronaca ci riporta la grandissima partecipazione di persone convenute a Monterotondo dai pesi vicini e da Roma e di rappresentanze comunali di alcuni paesi della Sabina e sottolinea i sontuosi addobbi del tempio, le esecuzioni vocali e strumentali, le solenni cerimonie e le feste esterne, fra cui la famosa macchina pirotecnica, con tabernacolo dedicato alla Vergine SS. con a lati i santi protettori Filippo e Giacomo, incendiata sulla piazza del Duomo, mentre undici complessi musicali, a turno, coronavano il solenne trionfo della Madonna del Diluvio delle Grazie. Non possiamo tacere i festeggiamenti durante la “Missione al popolo” del 1880. L’immagina taumaturgica fu esposta sempre nell’ampia chiesa del Duomo per tutta la durata della missione e fu tale la folla che prese parte alle celebrazioni che si parlò addirittura di un plebiscito di amore per la Vergine Santissima.

Non è stato festeggiato il 150° anniversario, perché nel 1915 si era nel pieno della prima guerra mondiale, né il 200° anniversario, perché nel 1965 la chiesa di S. Rocco era in pessime condizioni e i lavori di sistemazione ebbero termine nel 1968.

Dobbiamo ricordare anche le solenni celebrazioni del febbraio 1941, in piena seconda guerra mondiale, ,quando l’immagine della Vergine fu portata solennemente in Duomo su un monumentale baldacchino dorato portato a spalla da 20 ex combattenti della grande guerra per un solenne triduo e per invocare la sua protezione per quanti si trovavano sui campi di battaglia. Il baldacchino era fiancheggiato da reparti armati di avieri e marinai, seguivano le autorità comunali con il gonfalone del Municipio, le associazioni dei mutilati e combattenti, le scolaresche e le associazioni religiose. Le vie dove passava la processione erano addobbate con drappi multicolori, con festoni di alloro e di mortella, con lampioncini colorati e, come era usanza dei monterotondesi, dalle finestre o dai terrazzini pendevano le più belle coperte o lenzuola ricamate.

Lo stesso spettacolo si ripeté al termine della guerra, nell’ottobre del 1945, per ringraziare la Vergine dello scampato pericolo. Di quella circostanza si ricorda il pianto accorato di due mamme, che imploravano il ritorno dei loro figli dispersi in Russia. Questi giovani non sono tornati, però una delle mamme raggiunse la serenità, poiché affermava che da quel momento il figlio se lo sentiva vicino. A conferma di quanto detto, nella tomba di famiglia ha fatto mettere una piccola lapide su cui è scritto: “Il suo corpo non è qui, ma la sua anima aleggia nella famiglia”. Questo a riprova del fatto che la grazia del Signore, per intercessione della Vergine, non è detto che debba essere qualcosa di manifesto e di vistoso, ma può intervenire anche nell’intimo di una persona.

Negli anni 1998-1999, in attesa di celebrare il Giubileo dell’anno 2000, la Chiesa Sabina si preparò a vivere questo grande evento della grazia di Dio con una Visita Pastorale indetta dal Vescovo diocesano S. E. Salvatore Boccaccio, il quale ha guidato la nostra Diocesi dal 1992 al 1999. Il Vescovo affidò la sua opera pastorale alla protezione della Madonna del Diluvio delle Grazie venerata nella chiesa di S. Rocco ed inviò a tutte le Parrocchie della Diocesi una riproduzione della Madonna del Diluvio con questa dedica: “La Madonna del Diluvio delle Grazie ci accompagni nel cammino, affinché la nostra Diocesi e le nostre Comunità Parrocchiali sappiano offrire a tanti fratelli che sono lontani il volto di una Chiesa vivificata dalla Parola di Dio e costruita su valori che la rendano visibile casa comune”.

Il Vescovo scrisse anche una piccola preghiera:

Maria, nostra Madre e Madre della Chiesa, accompagnaci con la Tua intercessione, perché la diocesi sia una comunità viva, ferma nella fede, unita nella speranza, perseverante nella carità. Amen. “

La devozione mariana vissuta nel nostro piccolo Santuario ci unisce in comunione fraterna con tutti gli altri Santuari dedicati a Maria sparsi nel mondo e ci ha permesso di ottenere il riconoscimento di un “particolare vincolo spirituale” con la Basilica Papale di S. Maria Maggiore in Roma. Secondo le disposizioni della Penitenzieria apostolica del novembre 2008, tutti i Santuari mariani “uniti con particolare vincolo spirituale” alla suddetta Basilica possono ottenere la concessione dell’indulgenza plenaria. Don Paolo Spano ha prontamente avviato l’iter per il riconoscimento di tale privilegio per il Santuario della Madonna del Diluvio di Grazie, che è stato concesso dalla Penitenzieria Apostolica il 7 febbraio 2009. La concessione dell’indulgenza plenaria per il nostro Santuario è un’altra grazia che la Vergine dona ai Monterotondesi e a tutti i suoi devoti fedeli. Le condizioni richieste per ottenere l’indulgenza plenaria sono la confessione sacramentale e la comunione eucaristica, di pregare secondo le intenzioni del Sommo Pontefice, assistere alle sacre funzioni e recitare almeno il Padre Nostro e il Credo, oltre all’esclusione dell’affezione verso ogni sorta di peccato. Si allega la traduzione del diploma che attesta la concessione dell’indulgenza plenaria, perché i fedeli “ne facciano memoria per la crescita e la conferma della propria pietà”.

Siamo certi che nel prossimo anniversario del 250° anno dalla Sua solenne incoronazione la nostra città saprà dare alla Vergine SS. del Diluvio delle Grazie il suo tributo di devozione e di affetto, ricordando i benefici passati e presenti da Lei ricevuti.

Dal libretto

In onore della Madonna del Diluvio delle Grazie, venerata nella Chiesa di S. Rocco, in Monterotondo,

29 aprile 1765-2015, 250° dall’Incoronazione al Capitolo Vaticano dell’immagine miracolosa Madonna Diluvio delle Grazie.

PARROCCHIA SANTA MARIA DELLE GRAZIE – MONTEROTONDO

Pubblicato da Anna

Da sempre impegnata nella pastorale, catechista, mamma e studiosa di teologia spirituale e di cultura cattolica, la Vergine Maria mi ha insegnato ad amare il silenzio, la preghiera, ed a conoscere meglio suo Figlio Gesù. Consacrandomi a Lei, mi sono incamminata sulla strada che porta al suo Cuore Immacolato: nella fede cattolica, la ferma certezza che le porte degli Inferi non prevarranno contro la Santa Chiesa.